Giorni fa ho pubblicato un post sul mio profilo Facebook, cosa che ormai faccio di rado perché i social mi attraggono sempre meno, che ha ricevuto un tale numero di commenti e reazioni da farmi pensare che potrebbe essere un argomento che merita di essere portato a tutti voi lettori e lettrici su DHN.
La pubblicazione riguarda l’etichetta da mantenere in una classe di balletto.
Oggi le lezioni professionali di danza classica sono molto più informali rispetto ad una volta, quando anche solo appoggiare i gomiti sulla sbarra per un momento era un sacrilegio tale da farti guadagnare l’invito ad uscire dalla sala, tuttavia trovo un certo formalismo necessario per mantenere aderenza alla storia, all’origine di questo linguaggio, che ha bisogno di sviluppare certe attitudini ogni giorno a lezione per arrivare sulla scena con efficacia e coerenza.
Oggi la relazione degli allievi con chi guida la classe è meno cerimoniosa di una volta, la gerarchia tra i ruoli non è più così appuntita come quando da giovane frequentavo le classi di danza e tutti avevamo un tale timore reverenziale verso i maestri che mai ci saremmo sognati di commentare una correzione o interrompere la lezione con domande che non erano state sufficientemente elaborate nella propria mente prima di essere esposte con la timidezza di chi ha paura di dire banalità.
Sotto certi aspetti questa rilassatezza ha portato cambiamenti positivi, perché a volte il confine tra l’autorevolezza e l’autorità del docente può essere molto sottile e devo ammettere che di alcuni insegnanti avevo una genuina paura perché quando sbagliavi potevano ricoprirti di improperi. Probabilmente la loro volontà era di svegliarti dal torpore mentale che ti aveva fatto compiere l’errore, ma personalmente non ero emotivamente tranquilla quando partecipavo alle loro lezioni e mi sembrava che l’unica mia preoccupazione non fosse capire, comprendere, esperire, ma fare in modo che non si arrabbiassero.
Una modalità vagamente infantile, questa, che non mi permetteva di crescere e di rendermi indipendente da loro, con tuta l’attenzione proiettata verso l’esterno non verso l’interno, luogo in cui avrei potuto più facilmente accedere al mio maestro interiore. Un clima di leggerezza può aiutare l’allievo a lavorare con più consapevolezza, ma ovviamente è fondamentale rispettare i ruoli, evitare di oltrepassare certi limiti, altrimenti la distanza rischia di assottigliarsi troppo e l’autorevolezza di chi conduce viene messa in serio pericolo di caduta.
Il cuore del mio post parla di un episodio in particolare, che ho visto accadere più volte all’interno di una classe professionale di una collega, in cui gli allievi lasciano che sia lei a trasportare le sbarre da una sala all’altra. Osservo questo comportamento da anni perché di solito mi trovo proprio di fianco a quell’aula, con i miei studenti, che spesso si prodigano per aiutarla in questo piccolo trasloco quotidiano.
Al di là di ogni facile giudizio, una stanza che non ho alcuna voglia di aprire (giudicare mi sembra diventato lo sport nazionale), quello che osservo emergere da questa situazione è la progressiva perdita di rispetto e gentilezza nei confronti dell’altro in generale, non solo durante la lezione di danza, che in questa analisi diventa semplicemente lo specchio di una società sempre più egoriferita, in cui ogni individualità si sente un po’ al centro del mondo manco fosse Roi Soleil in carne ed ossa e tutti gli altri umili sudditi dediti al servizio.
Detto questo, l’etichetta prevede che la sbarra mobile venga predisposta nello spazio da chi la usa, così come alla fine del riscaldamento, sempre la stessa persona si preoccuperà di riporre questo attrezzo ai margini della sala per consentire alla lezione di proseguire. È sottinteso che i maschi, di solito più forti e abituati a sollevare le ballerine, aiutino le ragazze in questo lavoro, specialmente se le sbarre sono pesanti, senza attendere che queste chiedano il loro intervento.
Sento già alzarsi la voce delle neofemministe, obiettare che questo atteggiamento è figlio di una visione patriarcale dell’esistenza, che oggi le donne non hanno bisogno degli uomini, l’indipendenza e blablabla. Francamente, nell’ambito in cui ci muoviamo, queste discussioni sono “off topic”, per usare uno dei tanto detestati anglicismi, la lezione di danza classica è impregnata della sua stessa storia, le origini trovano radici in un contesto di nobiltà, in una società in cui i ruoli erano molto ben definiti. Parliamo della corte francese di Luigi XIV e di quella imperiale Russa. L’etichetta è parte integrante di questo linguaggio, rappresenta l’humus da cui ha tratto nutrimento per secoli, non è possibile mantenere aderenza con esso senza rispettarla.
L’etichetta non compare in nessun manuale di danza, viene trasmessa attraverso la presenza stessa di danzatori e insegnanti, generazione per generazione, secolo dopo secolo. Siamo noi che tramandiamo questo aspetto essenziale della danza classica, attraverso le nostre attitudini quando siamo insieme nel contesto di studio o lavoro.
Questa prevede, ad esempio, che durante la lezione le risposte alle domande, le soluzioni ai problemi, si cerchino da soli: il maestro spiega e gli allievi memorizzano le sequenze nel più breve tempo possibile. Un bravo maestro sa assegnare esercizi adeguati al livello tecnico e cognitivo della classe, nonché spiegarli con precisione e puntualità tecnica e musicale, quindi si aspetta che tutti siano nel momento in cui parte la musica. Le domande vanno pensate, bisogna sapere esattamente cosa chiedere prima di interrompere la lezione per formularle verbalmente e preferibilmente con un linguaggio consono.
Alla fine della lezione ci si saluta con una reverance, un saluto formale, seguito da un applauso forte e sentito, con cui ci si ringrazia reciprocamente per il lavoro svolto e per tutte le informazioni che sono state trasmesse in questa relazione così preziosa tra insegnante ed allievo. Anche questo può sembrare un cerimoniale obsoleto e inutile ma ha una sua fondamentale importanza nello stabilire i ruoli in modo chiaro. Spesso non ho il tempo di eseguirla durante le mie classi, ma sento molto forte la mancanza di questo elemento nella mia vita con gli allievi.
Quando un insegnante assegna una correzione non è bene argomentare, controbattere, obiettare. Si ringrazia interiormente e silenziosamente per l’attenzione ricevuta e si mette immediatamente in pratica quella indicazione al meglio possibile. Le parole sono spesso inutili nel contesto della lezione, la danza si fa con l’intelligenza somatica, con il corpo, il maestro vuole vedere come l’allievo reagisce agli stimoli, come impara a correggersi da solo.
In nessun caso, infine, il maestro a sistema le sbarre per gli allievi. Il suo ruolo è quello di dispensare il proprio sapere, qualunque sia , al meglio delle sue possibilità e capacità di trasmissione. Il maestro si mette al servizio della classe con l’intento di aiutare ogni elemento a migliorare la propria tecnica e la propria capacità espressiva, a sviluppare il proprio potenziale naturale e supportare le aree di miglioramento. Essere nel ruolo di chi guida una classe, specialmente professionale, nella quale convogliano personalità diverse ogni volta, soli davanti alla moltitudine, non è semplice. Il solo fatto di essere lì merita rispetto, per non parlare dell’esperienza data dagli anni sul campo e dalla vita vissuta come esseri umani. I maestri vanno rispettati, l’atteggiamento di aspettare con la borsa e l’asciugamani in una mano, la bottiglia d’acqua nell’altra, che ti venga portata la sbarra, è una scena semplicemente inconcepibile per chi ha qualche primavera in più sul groppone.
Sotto a questo piccolo sfogo, un caro collega che stimo mi ha scritto un commento che trovo molto pertinente, nonostante lui insegni e si occupi di danza contemporanea di ricerca, dimostrando di possedere quella sensibilità e rispetto che in realtà permea anche la visione orientale dello yoga e delle arti marziali, nonché delle pratiche di realizzazione spirituale, dove al maestro sono riservate le più alte forme di rispetto e devozione. Riporto fedelmente ciò che ha scritto: “nobiltà e snobbismo possono apparire simili ma sono l’una l’opposto dell’altro”.
Nulla da aggiungere.
1 commenti
Pienamente d’accordo! Su tutto! L’educazione e le regole salvano le nostre lezioni, la nostra serenità e quella degli allievi che un domani, professionisti o non, saranno a loro volta uomini e donne capaci di rispettare e far rispettare limiti emotivi e sociali. Senza le regole non si cresce. Grazie per tutti i meravigliosi articoli che sono spunto di riflessione con gli allievi, in sala.
Un saluto cordiale e…
Buon lavoro!!!