Lia Courrier: “L’etica di gestione degli infortuni”

di Lia Courrier
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Eccoci qua, dopo i primi mesi di lezioni di danza selvaggia e gioiosa, giunti ai primi freddi, a contare gli infortunati a lezione, che siedono con la schiena appoggiata allo specchio e quella espressione da tapini stampata in faccia, come se l’intero cosmo ce l’avesse con loro.

L’etica della gestione degli infortuni è un argomento di grande interesse per me, lo sento come una missione personale, soprattutto perché insegno a futuri danzatori che oltre alla tecnica dovrebbero, a mio parere, imparare anche a mantenere il proprio strumento sano e reattivo.

Il concetto di prevenzione è la base di partenza per qualsiasi strategia atta ad evitare traumi, il che vuol dire ovviamente una sana alimentazione priva di sostanze tossiche e povera di prodotti industriali, bere adeguatamente, dormire per un tempo sufficiente, evitare o minimizzare il consumo di tabacco e alcol, ma anche predisporre un training personale di allenamento funzionale, che mantenga la muscolatura e le articolazioni nel miglior stato possibile. Si tratta di procedure strettamente personali, che ognuno formula in base alle proprie caratteristiche, al tipo di carico lavorativo del momento o al clima, ad esempio, con l’obiettivo di riportare equilibrio e armonia nel sistema nella sua interezza, ma anche forza e prontezza nella reazione agli stimoli.

Per poter realizzare qualcosa di simile è necessario sviluppare una buona capacità di ascolto e osservazione: un ascolto che non si fa con le orecchie e una osservazione per cui non servono gli occhi. Sto parlando di percepire e interpretare i messaggi che il corpo ci invia costantemente. Ma questa è solo metà della storia, perché dopo aver acquisito questa abilità, bisogna avere anche l’umiltà di seguire le indicazioni ricevute. Voglio dire che il manifestarsi di un trauma da usura importante, a carico del sistema, è spesso preceduto da una costellazione di segnali meno gravi e meno dolorosi, che non vengono ascoltati. Si continua a danzare e forzare su quelle zone vulnerabili finché il corpo non decide da solo che è ora di mandare un messaggio più forte che non possa essere ignorato. Persino i traumi da impatto a volte possono essere evitati, se si ha consapevolezza del proprio grado di stanchezza, o della carenza di presenza mentale mentre si sta danzando, fermandosi prima che una distrazione da poco causi un infortunio.

Se siamo oltre questa fase, e ci siamo procurati una lesione beh…questi sono i rischi del mestiere: usiamo il corpo per lavorare e questo strumento a volte si può danneggiare. Sono cose che capitano, inutile farsene un cruccio, sentirsi in colpa o pensare di essere degli sfigati. I traumi però provocano un cambiamento di forma del campo energetico che, per essere elaborato e riportato ad uno stato di neutralità, richiede presenza, energia e ancora una volta: ascolto.

Comprendo benissimo l’energia della giovinezza e quella fame che porta a scalpitare per ogni istante di danza perduto, ma sento di poter dire che queste occasioni ci sono maestre per molti motivi, se si rimane presenti nell’esperienza è molto facile comprendere in che modo. Dopo un infortunio bisogna prendersi il tempo, per restare in contemplazione, comprendere, imparare da ciò che è accaduto e attendere che i tessuti si riparino, prima di riprendere a danzare. Non ci sono scorciatoie o alternative. Deve essere chiaro a tutti che muoversi prematuramente dopo un infortunio, anche lieve, non fa altro che mettere in ulteriore pericolo quella parte e prolungare la convalescenza potenzialmente all’infinito perché nel frattempo altre problematiche potrebbero sorgere altrove per compensazioni varie. Molto meglio attendere di essere pronti, facendosi consigliare da un professionista di fiducia.

In ogni formazione in cui ho insegnato ho cercato di portare attenzione a questi aspetti, ma il più delle volte la conclusione finale è stata che gli studenti sono molto giovani e quindi non hanno ancora gli strumenti psicofisici per affrontare questi eventi con maturità. Io penso invece che proprio perché anche io alla loro età sono stata danneggiata da questo tipo di atteggiamento, vorrei che loro fossero accompagnati verso scelte più virtuose. Nel mondo della danza è diffusa una ammirazione viscerale per l’eroismo e una forma vagamente masochista di autoimmolazione, fermarsi per dare ascolto ad un segnale preliminare è considerato eccessivo, molte volte persone che non sono in grado di spiegare cosa sentono esattamente, di che tipo di dolore si tratti,   totalmente disconnessi da quel dialogo interiore indispensabile per qualsiasi operatore con il corpo, semplicemente attendono che passi. All’inizio il dolore passa, certo, ma se si ripresenta una seconda volta vuol dire che lì qualcosa sta accadendo. Meglio non ignorare e approfondire.

Penso sia importante guidare gli studenti in queste fasi delicate che fanno parte di ogni percorso formativo, non solo per il corpo fisico, che è in sofferenza, ma anche per la mente e il cuore, spostando la prospettiva, evidenziando come lo stare seduti a guardare sia una opportunità per imparare, prendere appunti, fare domande, essere comunque partecipi e presenti anche se non si danza in prima persona. Dare continuità all’apprendimento in una forma diversa da quella che ci si aspettava, continuare ad allenarsi, proteggendo la parte lesa, è una grande lezione per qualsiasi giovane danzatore. Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma di restare nel processo, accogliendo il corpo esattamente dove si trova e non dove vorremmo che fosse. Credo che se avessi ricevuto un simile accompagnamento, quando ero in formazione, al posto di insegnanti che mi dicevano di prendere un antidolorifico e tornare in sala (nessun giudizio da parte mia, solo la riprova del diffuso atteggiamento dell’eroe), forse qualche domanda in più me la sarei fatta, invece di continuare ad andare avanti come un treno senza macchinista lanciato su un binario morto.

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