Lia Courrier: “L’esecuzione corretta di un penchée è una performance rara”

di Lia Courrier
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L’esecuzione corretta di un penchée è una performance rara, fatta eccezione per le scuole di ballo accademiche, nelle quali ogni movimento viene a lungo osservato, analizzato, e ripetutamente eseguito finché ogni parte del corpo non compie la giusta azione.

Cominciamo con il ricordare che il penchée è un movimento e non una posa, quindi anche se sei flessibile come un gatto, e in grado di raggiungere una perfetta apertura ad angolo piatto, se non addirittura oltre, la cosa che ci interessa sapere non è tanto se riesci a scendere fin lì senza infilzarti con gli incisivi nel pavimento, ma soprattutto se riesci a tornare indietro con un arabesque ancora più bello e lungo di quello da cui sei venuto, senza aggrapparti alla sbarra come Jack all’asse di legno nelle sue ultime scene del film Titanic. La prova del nove è proporre penchée in un adagio in centro, senza il girello a salvare le chiappe (o i denti), allora lì sì che il gioco si fa duro, e tutto ciò che si è seminato alla sbarra può germogliare, oppure appassire.

Penchée, tradotto letteralmente, vuol dire inclinare, pendere, chinarsi, affacciarsi. Il termine parla chiaro e descrive l’azione esatta richiesta, nel momento in cui siamo in arabesque: tutta la forma, così com’è, si inclina in avanti e poi ritorna indietro, senza perdere relazioni spaziali e tridimensionalità. Sembra semplice, ma tutte le forze intrinseche che attraversano il corpo, devono adattarsi per consentire al movimento stabilità e controllo.

Attenzione: non si chiama planeur, nessun riferimento a qualsivoglia velivolo, proprio perché mentre ci si inclina in avanti, si cerca in qualche modo di mantenere fianchi e spalle stabili nella direzione. Lo dico perché mi capita di vedere una bella fila di alianti lungo la sbarra.

Nella discesa si spinge con la gamba verso l’alto, facendo resistenza con il busto, in modo che non anticipi il movimento cadendo in avanti. Al ritorno sarà la gamba a fare resistenza e il busto a spingere in alto per tornare nella posizione di partenza. Il braccio davanti e lo sguardo si muovono in armonia con questo sporgersi in avanti, senza ciondolare come se raccogliessi da terra una forcina che mi è caduta dalla testa, e statene certi: un braccio alla sbarra è più che sufficiente.

Non è la posa al suo apice il momento più importante, quindi, ma come ci si arriva e come si esce, in una parola: danza.

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