Un argomento di discussione che ha ormai palesato la sua stabile presenza tra gli allievi è quello della presenza mentale e di come mantenerla. Quest’anno uno di loro ne farà addirittura oggetto della sua tesi di fine triennio, e credo proprio che l’interesse sia dovuto al fatto che i nativi digitali cominciano a percepire l’instabilità dell’attenzione come un ostacolo per l’apprendimento e lo sviluppo del proprio potenziale.
La tecnologia digitale si è imposta prepotentemente nelle nostre vite senza lasciarci il tempo di sviluppare risorse utili a gestire questo enorme progresso in costante accelerazione. Le contingenze ci hanno portato a trasferire gran parte della nostra attenzione e del nostro tempo in questi paesaggi virtuali e nelle comunità digitali, luoghi in cui presentiamo al mondo un personaggio fittizio, restituzione illusoria e parziale di ciò che siamo, attraverso cui pensiamo sia possibile instaurare relazioni analoghe a quelle che intratteniamo dal vivo.
Se solo questa rivoluzione digitale fosse accompagnata da un lavoro interiore di indagine e centratura, di espansione della coscienza, di incarnazione di quei principi etici e dei valori importanti per una vita che rispetti sé stessi e gli altri, forse saremmo riusciti a usare questa formidabile tecnologia al meglio, compiendo qualcosa di straordinario per tutti e non solo insultandoci sui social.
L’avvento degli smartphone e la connessione mobile hanno rappresentato un cambiamento molto profondo che si manifesta nella società e la cultura ma che inizia nei nostri stessi corpi. Tanto per cominciare esiste un problema biomeccanico nella postura delle persone, oggi al servizio dello smartphone: collo proiettato in avanti, esasperazione della cifosi toracica, caduta della spalle in avanti e compressione dello spazio del cuore. Ormai guardiamo lo schermo del telefono anche quando camminiamo per strada, le città sembrano il set di un horror movie in cui zombie ciondolano lenti e rimbambiti sbattendo contro i pali della luce. Un altro aspetto, ancora più importante, è quello relativo alla neuroplasticità del cervello e al circuito dopaminico della ricompensa, che rendono il gesto di controllare continuamente le notifiche sul cellulare qualcosa di molto simile all’assunzione di una droga.
Ogni volta che entriamo nel nostro paesaggio virtuale e guardiamo un contenuto che ci appaga, un commento positivo o un like ad un post che abbiamo pubblicato, il nostro sistema secerne quella chimica che è parte del circuito della dopamina, a donarci un senso di soddisfazione che però si spegne molto presto e questo porta a reiterare l’esperienza dopo pochi minuti, per prendere la nuova dose.
Ho avuto per le mani il mio primo smartphone che avevo superato i 30 anni, eppure oggi il mio ciclo della dopamina è indissolubilmente legato ai video di gattini. Non sono sola, molti miei contatti hanno la stessa passione e mi inviano continuamente video brevissimi che sono come le ciliegie, uno tira l’altro. L’algoritmo poi è peggio di un demone, ti mostra esattamente ciò che aggancia la tua attenzione e così sono preda di questi gatti che fanno le cose più disparate e matte, specialmente quando sono molto stanca, mentre la dopamina entra in circolo. Ovviamente utilizzo questo strumento anche per studio e lavoro, spesso entro in contatto con articoli molto interessanti su yoga, danza, anatomia e tutte quelle aree d’interesse per il mio percorso, e questo per un topo da biblioteca come me è bellissimo e atrocemente rischioso allo stesso tempo, perché potrei trascorrere ore a leggere articoli su ogni argomento possa venirmi in mente.
L’insieme di tanti elementi quali la brevità dei contenuti, la facilità con cui vi si ha accesso, in qualsiasi luogo o momento della giornata, la sensazione di disporre di un’innumerevole quantità di informazioni interessanti, sempre disponibili, rendono la nostra mente drammaticamente distratta e bramosa. Davanti a questo oceano di dati si ha la sensazione di poter attingere a tutto lo scibile possibile ma in realtà questa è solo un’illusione perché quando la quantità di informazioni che arrivano sovrastano la capacità della mente di elaborarle, la reazione spontanea di difesa è dimenticare gran parte di questo materiale che ogni giorno gli ficchiamo dentro, quindi alla fine si rimane sulla superficie delle cose, a volte senza neanche accorgersene e spesso senza avere strumenti per staccarsi da questa dipendenza.
Se questo accade a me, che ho iniziato a usare questa tecnologia da adulta, figuriamoci cosa può accadere a individui che maneggiano questi dispositivi fin dalla culla.
Oggi il dibattito su tecnologia e salute è fortemente polarizzata: da una parte molti esperti tra psicologi, psichiatri, studiosi dell’età evolutiva e neurologi, si dichiarano certi che prima dei 12 anni non bisognerebbe interagire con i dispositivi elettronici, per moltissimi diversi motivi che hanno a che fare con lo sviluppo cognitivo, coordinazione motoria, interazione sociale e persino nella relazione con i genitori. Esiste online un’immensa letteratura scientifica a riguardo e se non sapete da dove cominciare potete cercare le conferenze della meravigliosa Daniela Lucangeli, che ne ha parlato con grande chiarezza e puntualità.
In alcuni paesi del nord Europa sposano questa visione a piene mani, a cominciare dalla messa al bando della tecnologia nelle aule scolastiche, per favorire i lavori manuali e lo sviluppo di altre tipologie di intelligenza. Personalmente mi fido molto della loro visione, dal momento che attualmente hanno i programmi scolastici più all’avanguardia, con studenti che occupano i primi posti nei vari test svolti per verificare i risultati del lavoro di insegnanti, pedagoghi e dirigenti scolastici.
Dall’altra parte ci sono invece realtà formative, come la nostra, in cui è prassi l’uso della LIM, Lavagna Interattiva Multimediale, o dei tablet al posto dei libri e addirittura lo smartphone in classe, scelta che personalmente trovo quantomeno controversa. Capisco il senso di tranquillità nel sapere che il proprio figlio può essere contattato o può contattare la famiglia per qualsiasi esigenza, ma il cellulare non dovrebbe essere accessibile agli studenti durante le ore di lezione, le uniche in cui il loro sistema può lavorare ricevendo un minore numero di stimolazioni visive, favorendo la focalizzazione mentale e l’interazione fisica. Comprendo anche che oggi si rileva una maggiore presenza di studenti con varie tipologie di problematiche a vari livelli, per cui la tecnologia può rappresentare un indispensabile sostegno, ma anche in questo ambito sono convinta che si possano fare tante belle cose per sostenerli anche senza tecnologia, magari attraverso esperienze somatiche, tanto per dire.
La mente umana è un criceto sulla ruota che non smette mai di correre, anche prima dell’avvento del digitale. Questa è la sua natura, un campo estremamente dinamico e costantemente sollecitato dalla sfera sensoriale, sempre instabile e irrequieta, a meno che non si pratichino tecniche specifiche allo scopo di quietarla, come la meditazione, ad esempio. Però certo oggi il contesto in cui viviamo, l’accelerazione esponenziale che ci spinge costantemente in avanti, rende doveroso parlare della questione, perché stanno venendo meno tante capacità legate alla deduzione logica, alla capacità critica e di analisi, alle abilità nell’approfondire una ricerca, qualunque essa sia, che credo siano competenze importanti da mantenere pur integrando tutto ciò che di straordinario il progresso tecnologico porta nelle nostre vite. Un’onda che del resto sarebbe inutile e stupido cercare di fermare, possiamo solo provare ad utilizzare a meglio queste opportunità.
La mente distratta è un enorme ostacolo anche per l’apprendimento della danza, che richiede grande focalizzazione, con costanza e per lunghi periodi di tempo, ma al punto in cui siamo arrivati, purtroppo, per la mente contemporanea stare focalizzati per due minuti è già difficile, figurarsi per un’ora e mezza! Percepisco quotidianamente l’intermittenza come caratteristica peculiare dell’attenzione dei miei studenti, si interrompe e cerca di riportarsi in posizione continuamente, una modalità estremamente dispendiosa, faticosa, che non porta a risultati soddisfacenti o duraturi, non permette loro di sviluppare davvero il proprio potenziale tecnico e soprattutto artistico.
1 commenti
Toccato davvero un punto focale riguardo la sempre maggiore difficoltà di concentrazione, per tutte le attività umane, ma in particolare per quelle dove l’attenzione deve essere alta e prolungata! La danza è certo una di queste e il cellulare ha sicuramente molte responsabilità!