Lia Courrier: “La dittatura dell’ignoranza che tarpa le ali alla creatività”

di Lia Courrier
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Nelle ultime settimane è diventato virale un video, risalente ad una produzione di almeno un decennio fa, in cui una ballerina del Finnish National Ballet esegue la variazione da “La Bella Addormentata”, più precisamente le pietre preziose, indossando un costume bizzarro e singolare che modifica la forma naturale del corpo facendolo sembrare più rotondo, specialmente nei fianchi e nelle spalle.

Questo costume è palesemente un trucco teatrale, voluto da David Bintley, autore di questa versione del balletto, per donare un colore più deciso al personaggio.

Bintley ha utilizzato un costume di questo tipo anche per caratterizzare e differenziare i personaggi delle due sorellastre in “Cenerentola”, nella produzione del 2011 per il Birmingham Royal Ballet, che qualcuno all’epoca aveva descritto come una “assoluta delizia” (Cathy Barrett, Bachtrack).

Anche la sua “Bella Addormentata” è una produzione originariamente creata per il Birmingham Ballet e poi ripresa dal Finnish National, dove con grande ironia Sara Saviola ha dato vita ad una folle e provocatoria versione di questa spumeggiante variazione, indossando quella che in molti hanno denominato “fat suit”, ma che ai miei occhi è semplicemente un costume teatrale.
Le reazioni a questo video mi hanno lasciata perplessa e confusa, confermandomi quanto difficili siano i tempi che viviamo e quanta poca libertà di espressione ci sia rimasta in nome di un “politically correct” che rimane sempre sulla superficie, mancando totalmente il senso profondo, il cuore delle cose (con questo rischio il linciaggio mediatico, lo so).

Da una parte, coloro che non hanno capito che si tratta di un costume. Non so come si faccia a credere che un corpo possa avere quella forma e quella consistenza, ma è evidente che non siamo più abituati a pensare, a farci domande, dediti come siamo a reagire immediatamente ad ogni cosa che ci passa davanti, anziché utilizzare la meravigliosa corteccia frontale di cui disponiamo, capace di analizzare ed elaborare. Qualcuno si indigna dichiarando che il balletto è fatto per corpi magri e non si capisce come una ballerina così fuori forma sia finita in una compagnia professionale. Qualcun altro commenta con un secco: “orribile”, “disgustoso”, “cattivo gusto”.

A nulla sono valsi gli interventi di chi ha informato che si tratta di un costume, la lista di commenti di fuoco è stata incredibilmente lunga, tutti giudici e critici oltremodo, quando sarebbe bastato digitare su google il nome di questa artista per vedere com’è fatta.
Un commento in particolare, scritto da una donna, mi ha colpita molto: “il balletto non ha bisogno di tutta questa inclusione”.

Frase che non lascia alcuno spazio ad ulteriori argomentazioni e che, in tutta la sua rude crudezza, purtroppo temo corrisponda ad assoluta verità, inutile girarci attorno.

Dall’altra parte ci sono quelli che sventolano la bandiera del “body shaming”, sostenendo che far indossare un costume di questo tipo con l’intento di far ridere è offensivo e non rispettoso, che se il coreografo avesse voluto una ballerina in carne ci sono tantissime ragazze con fisici diversi dai canoni ballettistici che avrebbero potuto eseguire perfettamente questa variazione. Sfugge ai sostenitori di questa tesi che la solista interprete di questa variazione è impegnata anche in altri ruoli all’interno della produzione e che nessun corpo di ballo assumerebbe una ballerina per interpretare uno specifico ruolo in uno spettacolo soltanto.
Qualcuno ha anche scritto “chissà come l’hanno convinta ad indossarlo”, come se un danzatore avesse voce in capitolo sulla scelta del costume. Confido nel fatto che il membro di una compagnia di questo livello sia in grado di comprendere il senso di ciò che gli viene chiesto di fare e che non abbia avuto alcun bisogno di essere convinta a farlo.

Ciò che è importante osservare, al di là di ogni opinione personale, è che questo florilegio di reazioni respingenti (solo una piccolissima parte mostra apprezzamento) si è prodotto a seguito di un video di pochi secondi, estrapolato da un balletto che dura almeno tre ore, di cui non abbiamo visto nulla, quindi nessuno dei commentatori possiede strumenti per comprendere il contesto drammaturgico e coreografico creato dal coreografo.

Persino io che vengo dal mondo del balletto, più volte criticata e giudicata per il mio corpo abbondante, con alle spalle un trascorso con i disturbi alimentari, non mi sono sentita affatto offesa da questo video, anzi, trovo che questo costume aggiunga qualcosa al personaggio, in virtù del contrasto tra l’apparenza e l’essenza, tra il corpo rotondo e la velocità, la frizzantezza della danza, mettendo in luce dettagli drammaturgici e musicali mai colti prima.

Qualche tempo fa un altro video aveva accolto critiche feroci, un estratto da Iolanta/The Nutcracker, de l’Opéra Garnier di Parigi, con le coreografie di Sidi Larbi Cherkaoui, Edouard Lock e Arthur Pita. Queste due opere erano state presentate come dittico nel 1892, ma in seguito sempre rappresentate separatamente. L’Opéra le riporta nella stessa serata nel 2016, con la regia e  scene di Dmitri Tcherniakov (quando ancora gli artisti russi non erano soggetti a cancellazione culturale) diventando un’unico spettacolo: l’opera come preludio del balletto e il balletto come conclusione dell’opera.

Nel video incriminato si vede uno stralcio della danza araba, eseguita in uno scenario onirico in cui tutti i giocattoli di Clara sono giganteschi, fluttuanti come palloni, divenendo una scenografia in movimento per la meravigliosa presenza di Alice Renavand, Danseuse Etoile, in una danza dalla seduzione ipnotica.

Anche in questo caso un’emorragia di commenti: “la musica di Tchaikovsky è scritta per il balletto e non per questi movimenti noiosi”, “lasciate in pace il balletto e la musica classica, i coreografi possono esercitare la propria creatività usando la musica contemporanea”. Seguono svariati:  “disgustoso”, “patetico”, “idiota”, “poveri danzatori”. Qualcun altro parla di degrado culturale, quando per me il vero degrado culturale è proprio l’incapacità di leggere un’opera che non sia allineata con l’ordinario, che profumi di nuovo, di mai visto prima. Il degrado culturale è rifiutarsi a priori di entrare nell’universo di un coreografo il cui processo creativo è stato eseguito nel totale rispetto sia della partitura musicale che della storia. Gli appassionati ultraconservatori del balletto forse non lo sanno, ma la loro attitudine è nemica per l’arte che dicono di amare tanto, perché il balletto è un linguaggio in piena evoluzione, che non può rimanere sempre uguale a sé stesso senza morire. Forse amano un vuoto carapace di un’arte che si è già da tempo liberata da quel guscio per evolversi in altro.

La critica più bizzarra che questo video ha ricevuto, vede nella presenza del gigante pupazzo a forma di astronauta, con la scritta CCCP sul casco, un messaggio subliminale, dichiarando che quel personaggio non dovrebbe stare sulla scena, che si tratta di una non meglio identificata “nostalgia sovietica”.

Anche in questo caso, comunque, i commenti sono fioccati senza conoscere il contesto in cui questa scena (a mio parere stupenda) si svolge e del perché sia stata data questa lettura del brano e della storia.

Siamo di fronte alla dittatura dell’ignoranza, dove qualsiasi stimolo non immediatamente comprensibile diventa qualcosa da annientare, da distruggere. Un processo, questo, che avviene ad ogni livello della società, un fenomeno da non sottovalutare, che uccide lo slancio creativo, la libertà di pensiero e di parola, costringendo tutti ad adattarsi al livello culturale medio, che attualmente ha le sembianze di una desolata palude, la stessa in cui annega il cavallo Artax in una delle scene più strazianti di un celebre film.
Vengono tirate in ballo le cause più disparate per criticare ciò che non si riesce a comprendere, ma l’arte è l’unica espressione dell’umano che non dovrebbe mai rispondere al potere costituito o alle tendenze del momento, muovendosi invece libera e sollevata dalla responsabilità riguardo al modo in cui le persone la interpretano, presente esclusivamente nella coerenza e nella potenza del messaggio di cui è portatrice.

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