Lia Courrier: “Il nuovo anno e lo stato dei mestieri della danza”

"Si continua a precipitare in caduta libera in un baratro che apparentemente sembra senza fine"

di Lia Courrier
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Questa settimana siamo giunti alla fine di questo travagliato anno.

Non ho mai amato fare liste, bilanci, scrivere elenchi, si tratta di attività gestite dall’emisfero sinistro del cervello, che – a quanto mi pare di capire – nel mio caso credo sia atrofico e molto pigro. Quando il nostro pianeta finisce il suo giro attorno alla stella, preferisco stare in silenzio e assaporare il momento in cui la fine diventa l’inizio, e un nuovo ciclo ricomincia, cercando di riconoscere questa modalità riflessa in ogni espressione dell’esistenza: dal succedersi delle giornate, quello delle stagioni, al movimento del respiro. Ascolto la forma del cerchio che si chiude, come se col pennello delle mie esperienze avessi disegnato un ensō lungo i dodici mesi e fossi ritornata al punto in cui tempo prima avevo poggiato quelle setole sul foglio cosmico, quando ancora era intonso.

Dipingere un ensō, in giapponese 円相, ossia questo unico segno calligrafico circolare, è per la cultura zen un esercizio di meditazione: nel disegnare il cerchio non si può tornare indietro, ma solo andare avanti, senza mai staccare il pennello dal foglio. Bisogna scegliere il giusto tempo, la postura, l’eleganza del gesto, la consapevolezza di essere in ogni respiro totalmente presenti e focalizzati su quel tratto che si produce sul foglio, sull’ascoltare il suono della carta che si impregna e delle setole del pennello che scorre, consapevoli di non avere la possibilità di correggere, ma anche con la possibilità di accogliere la forma che si manifesta, qualsiasi essa sia. Il cerchio è ogni volta diverso, si potrebbe realizzare un ensō ogni giorno dell’anno, per rendersi conto che non potremmo trovare due cerchi uguali. L’ensō è uno specchio del nostro stato in quel momento specifico in cui lo realizziamo, e quindi un formidabile esercizio per essere presenti in quello che potremmo chiamare l’eterno presente.

Ma torniamo a cose più terrene. Dopo questa premessa così spirituale bisogna riportare in equilibrio l’articolo, e quale potrebbe essere argomento migliore per farlo, se non quello dello stato dei mestieri di danza? Sento già l’atmosfera farsi cupa e pesante.

Questo 2021 che volge al termine non ha portato alcun cambiamento di rotta, per quanto ci riguarda, si continua a precipitare in caduta libera in un baratro che apparentemente sembra senza fine, ma che prima o poi ci farà conoscere la durezza del suo fondo direttamente sul muso, e non credo che manchi molto. L’abitudine ad adattarsi a giocare a ribasso, ci ha resi particolarmente coriacei rispetto alla miseria, procrastinando quelle azioni che si sarebbero dovute intraprendere ben prima della pandemia, e così continuiamo allegramente a precipitare nel vuoto senza troppo preoccuparci, fuori tempo massimo per contrastare la situazione, perché tutto sommato, citando una frase attribuita al grande Albert Einstein: “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi”.

Ha fatto il giro del web l’intervento – giustissimo e condivisibile – di Roberto Bolle, in udienza alla Camera, che è andato persino sulle pagine di quotidiani che normalmente di danza non si sognano neanche di parlare. Un intervento tardivo e in parte fuorviante, perché tiene conto di un solo punto di vista sulla danza, ossia quello delle fondazioni e dei corpi di ballo chiusi, e lo ringraziamo tutti sinceramente per aver messo la faccia in questa occasione, per aver portato attenzione sul tema, ma la danza italiana non è solo quella delle fondazioni (carrozzoni su cui ci sarebbe molto da dire, ma rischio di scrivere un trattato), esiste anche una nuova danza che brulica di vita, in altri contesti, che si stanno dando da fare alla grande, anche se non visti e non ascoltati. Sono anni che, sulle pagine di questa rivista, io e i miei colleghi in redazione (ma non siamo gli unici a farlo, per fortuna) denunciamo lo stato delle cose, scriviamo della cattiva gestione delle risorse, proponiamo possibili strade percorribili per agire insieme, ma il nostro potere è nulla in confronto a quello di chi gode di esposizione mediatica e che – nonostante gli anni di silenzio su qualsiasi argomento che avesse a che fare con la politica – ad un alito di fiato viene immediatamente investito del ruolo di rappresentante e difensore dei danzatori.

Vorrei ricordare che in questi ultimi due anni molti grandi nomi dello spettacolo dal vivo (ci metto dentro tutte le arti sceniche) se ne sono stati zitti e non hanno detto nulla a difesa del settore, almeno fino a che non hanno cominciato concretamente a misurarsi con la perdita di opportunità lavorative. In questo deserto dei tartari spiccano nomi come quello di Fiorella Mannoia (non è l’unica virtuosa), presente alla manifestazione dei bauli, e che, senza venire a piangere miseria e chiedere soldi, ha posticipato le date del suo tour alla prossima primavera, Fiorella che – tanto per dire – non era presente a quella vergognosa riunione su zoom con Franceschini, in cui si è fatta strada la malsana idea del Netflix della cultura, progetto che ha assorbito risorse che potevano servire ad altro, anziché soddisfare i capricci megalomani di un micro-ministro.

Questo è il momento in cui fare scelte coerenti con sé stessi, onorandole anche e soprattutto quando sembra impossibile o inutile farlo. Osservando il quadro generale, mi rendo conto che il nostro settore si sta auto fagocitando, e ogni volta che un nuovo pezzettino viene mangiato, digerito, e trasformato in escremento, se ne dà la colpa a qualcun altro. Fino a che non si deciderà di diventare adulti, con la presa di responsabilità che questo comporta, nelle scelte e nelle azioni, continueremo ad essere trattati come bambini, ammansiti con un lecca lecca di zucchero quando chiedono attenzioni.

Buon anno a tutti i danzatori, quindi, qualunque sia la danza che praticate, in qualunque luogo le diate vita, qualsiasi sia il vostro cachet o la vostra fama, ognuno di voi è importante, ognuno conta, ogni gesto, ogni movimento è la goccia che compone il fiume, che infine arriverà al mare. Spero con tutto il cuore che questo nuovo anno possa portare un po’ più di consapevolezza e visione lucida, e un portavoce di chiara fama che abbia voglia di comprendere la complessità del tessuto culturale della danza italiana, con uno sguardo che comprenda davvero tutti.

Viva la danza.

Buon 2022.

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