Lia Courrier : “Il mio vincitore del Prix de Lausanne”

di Lia Courrier
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Come ogni anno non ho perso un solo istante del seguitissimo Prix De Lausanne, celebre competizione in cui confluiscono tra i più talentosi giovani danzatori da tutto il mondo, o quasi, con la possibilità di entrare in contatto con prestigiose Accademie e compagnie di Ballo, a completamento della propria formazione o per affacciarsi al mondo del lavoro.

I primi giorni di dirette sono i miei preferiti, con maestri straordinari che guidano i candidati nelle lezioni e nelle sessioni di coaching per le variazioni. Ascoltare i loro consigli, frutto di anni di esperienza sul campo, ai livelli più alti della danza internazionale, è una lezione anche per chiunque insegni danza e tutti i ragazzi che arrivano fino a qui sono molto fortunati, anche se non hanno avuto accesso alla finale, per il solo fatto di aver partecipato agli insegnamenti di questi giganti. L’attitudine dei maestri del Prix è sempre gentile e supportante, anche perché l’atmosfera in sala è mediamente tesa, dal momento che i candidati sono poco più che bambini e molto emozionati per l’esperienza che stanno vivendo, così con presenza calma e voce rasserenante, i maestri provano a portare leggerezza, perché sanno quanto la tensione possa essere nemica della performance.

Impeccabile come sempre Elisabeth Platel, emanante eleganza da tutti i pori, con una profonda dolcezza dallo sguardo, nonostante la fermezza nell’assegnare correzioni sempre precise e puntuali. Autorevolezza e gentilezza incarnate in perfetto equilibrio, per me lei è un esempio, qualcuno a cui ispirarsi, nelle sue lezioni vengono sempre dispensati consigli importanti sul movimento, così i ragazzi possono concentrarsi su ciò che è importante, ossia apprendere, allontanando lo stress della competizione e portandosi a casa qualcosa da applicare anche dopo che tutto sarà terminato.

Come ogni anno il livello è stato altissimo, incredibile vedere con quanta maestria questi giovanissimi ballerini e ballerine hanno padroneggiato lezioni difficili, complesse sia tecnicamente che musicalmente; con quanta determinazione e sicurezza siano entrati in scena affrontando con coraggio il repertorio più ardito del balletto. L’aspetto di questa fetta di gioventù che mi sorprende sempre più di tutti, comunque, è l’incredibile gestione della pressione emotiva e la capacità di rimanere focalizzati per tutto questo tempo.

Tra la prova di classico e quella di balletto contemporaneo passa del tempo, ad esempio, un’eterna attesa durante la quale una miriade di distrazioni potrebbero frapporsi interferendo con la prestazione, invece loro si sono dimostrati sempre perfettamente focalizzati, pronti a dare il meglio. Questo ovviamente vuol dire che esiste un’organizzazione perfetta dietro alle quinte (come si può ben immaginare, visto che ogni aspetto di questo premio è curato in modo impeccabile) che sostiene la concentrazione dei candidati in questi momenti, forse i più cruciali perché sottendono a ciò che poi accadrà in scena.

Nonostante i finalisti siano tutti meravigliosi, anche quest’anno non mi trovo molto d’accordo con le scelte della giuria. Sebbene nel contesto del Prix venga continuamente ripetuto che i finalisti sono tutti vincitori (effettivamente accedere alla finale rappresenta già un traguardo importante), rimane il fatto che nelle pubblicazioni ufficiali  i premi siano accompagnati da un numero decrescente fino all’1, il che significa che si tratta di una graduatoria.

La mia vincitrice dell’edizione 2024 era stata  Kobayashi Airi, per la sua eleganza, cura nel dettaglio, per avermi portata in un racconto, un’atmosfera fatta di pura bellezza. Nulla da togliere al vincitore ufficiale, João Pedro Dos Santos Silva, ovviamente, che è anche più giovane di Kobayashi San, ma ci sono aspetti della danza che toccano corde profonde in me e lei è riuscita a suonarle con una tale grazia da conquistarmi completamente.

Quest’anno ho percepito simili vibes guardando il giovane principe statunitense Jain Hector che ha danzato con grande precisione musicale, infinita eleganza, stabilità e sicurezza, interpretando una delle variazioni maschili per me più belle e difficili, quella del principe Désiré dell’atto terzo de “La Bella Addormentata”. Il modo in cui ha gestito lo spazio, ha modulato l’energia, ha risposto alle richieste della coreografia, con braccia e mani che sono pura poesia, così maturo artisticamente a soli 18 anni, mi hanno incantata. Anche durante le lezioni si è sempre mostrato preciso, musicale, ha donato bellezza ad ogni gesto.

Una danza, la sua, custode di una profonda calma a investire di regalità e magia ogni esecuzione. Per me è lui il vincitore, senza per questo togliere valore alla vittoria del sudcoreano Park YounJae, di soli 16 anni, che ha interpretato una pirotecnica variazione tratta da “Flames of Paris”, in cui però non ho trovato la stessa raffinatezza e maturità espressiva. Certo, nei due anni che separano Hector da YounJae possono accadere molte cose, certamente tra due anni anche YounJae sarà cresciuto artisticamente, però visto che i finalisti vengono valutati tutti insieme, per quanto mi riguarda è questa la mia scelta.

Unica nota dolente in una manifestazione altrimenti perfetta (trattasi sempre di opinione personale) sono le coreografie di balletto contemporaneo (non chiamiamola danza contemporanea, per carità) che trovo quasi sempre poco interessanti: i movimenti scelti, l’esasperazione della flessibilità articolare, le musiche, il fraseggio sempre estremamente fitto e denso, senza mai una pausa o una sospensione, che possano lasciar emergere aspetti di questi bravissimi giovani ballerini che non abbiamo già visto nella prova di classico. Mi manca qualcosa che punti a rivelare la loro sensibilità e  personalità.

So che i coreografi che hanno creato queste composizioni sono famosi e riconosciuti, ciò non toglie che questo tipo di linguaggio, così come le ben peggiori creazioni presentate ad altre competizioni famose come YAGP, che sembrano programmi di ginnastica ritmica prestati alla danza, non sposano affatto il mio gusto.

Nella collezione del Prix de Lausanne salverei “You Turn Me on I’m a Radio” di Christopher Wheeldon, su musica di Joni Mitchell, perché mi porta in un’atmosfera fresca, calma, scanzonata, che richiede una certa qualità attoriale per interpretarla in modo informale ma drammaturgicamente efficace. È una coreografia che lascia molto spazio all’interprete per giocare, divertirsi e divertire il pubblico.

Gradita anche la new entry ad opera del coreografo Quinn Bates su musiche di Bonkers Beat Club dal titolo “Groovin’”, brillantemente interpretata dal candidato inglese Wheway Hughes Jakob (anche lui tra i finalisti) che ne ha colto perfettamente il senso e la dinamica, assaporandola tutta fino all’ultimo movimento.

Per il resto ho visto tante braccia agitarsi, gambe alle orecchie, giri, acrobazie, ma poco spazio libero da riempire con la propria interpretazione, colore, cifra stilistica, presenza. Materiali coreografici troppo asettici, che puntano a mostrare le capacità atletiche ma che mancano un po’ di cuore, e questo mi toglie sempre un po’ di piacere nel guardare la danza, questo ho percepito. Infine vorrei dire che chiamare contemporaneo questo linguaggio, senza specificare che si tratta di balletto contemporaneo, può essere quantomeno fuorviante per chi non conosce la ricerca del movimento portata avanti a partire dagli anni ’70, che non vede nel balletto una propria base tecnica, culturale ed estetica.

Ho trovato anche le lezioni di quella che al Prix viene indicata come “danse contemporaine”, durante i primi giorni di dirette, un linguaggio del corpo assimilabile più alla danza moderna che a quella contemporanea, ad ogni modo datato rispetto a ciò che si intende oggi per danza contemporanea.  Non riesco a spiegarmi come mai in una manifestazione così bella e importante non si riesca a fare nulla per questo aspetto, almeno ai miei occhi, così profondamente carente.

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