Lia Courrier: “Forzare le posizioni nello stretching è davvero funzionale?”

di Lia Courrier
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Ultimamente mi capita di vedere foto o video che mostrano delle discutibili sedute di stretching durante le lezioni di danza, ad opera degli stessi insegnanti che sembrano maneggiare i corpi degli allievi come fossero bambole. Non si tratta di contesti relativi alla ginnastica ritmica, il che comunque non giustificherebbe nessun istruttore a provocare dolore intenso fino alle lacrime alle povere atlete, ma di lezioni di danza. Si capisce dall’ambiente e dall’abbigliamento.

La flessibilità non è mai stata una caratteristica così ambita dai danzatori come in questo periodo storico. Non esiste un limite a quanto il corpo si può inarcare o a quanto le gambe possono iper estendersi o salire oltre la testa. Nonostante la lassità articolare sia una condizione certamente privilegiata e desiderata per la pratica della danza, non lo è certo per la salute del corpo. L’eccessiva mobilità delle articolazioni infatti andrebbe tenuta sotto controllo e supportata con un adeguato potenziamento della massa muscolare, per proteggersi dagli infortuni, in particolare quelli che arrivano sul lungo termine a causa dell’usura.

Da tempo si è scoperto il ruolo della miofascia nella funzione contrattile del tessuto muscolare. La miofascia è un sacco di tessuto connettivo che avvolge un muscolo o un insieme di muscoli che agiscono come una unità funzionale. Il tessuto muscolare è elastico, mentre la miofascia è plastica e possiede una memoria. Il muscolo raggiunge la sua massima estensione nel giro di qualche secondo, mentre per allungare la fascia occorrono dai tre ai cinque minuti. Mantenere allungata, idratata e rilasciata la miofascia consente una migliore attività del muscolo che vi si trova all’interno, consentendogli di avvalersi del suo aiuto per trasmettere le forze all’intero sistema miofasciale, una complessa rete, che insieme al sistema scheletrico costituisce quella che viene comunemente chiamata ‘struttura di tensegrità’, nella quale ogni singola parte è connessa a tutto l’intero. La capacità contrattile del muscolo viene quindi potenziata dalla trasmissione delle forze attraverso la fascia, e senza di essa il muscolo non sarebbe che una fragile gelatina.

Uno stretching molto utile per i danzatori, quindi, è quello che prevede la permanenza in posizione per almeno tre o cinque minuti, cercando di non spingersi verso il limite, poiché in quella zona la sensazione dolorosa creerà una naturale risposta contrattile da parte dei muscoli coinvolti nell’allungamento, e questo potrebbe provocare dei microtraumi nelle fibre stesse dei muscoli, che non sono fatti per lavorare con tempi così lunghi. Si rimane in una posizione abbastanza lontana dal confine, cercando di disattivare totalmente la muscolatura. Lo Yin Yoga è molto utile in questo senso, praticato infatti da molti danzatori, che parte da questi principi e se praticato con costanza porta a grandi e duraturi risultati in termini di flessibilità e spazio articolare.

Questo tipo di allungamento, però, se praticato in modo esclusivo potrebbe portare alla perdita di tono, per questo sarebbe ideale accompagnarlo anche con un lavoro di potenziamento o di uno stretching che preveda la contrazione eccentrica del muscolo, cioè un’attività che sa di paradosso: il muscolo si allunga mentre si contrae. Anche questo tipo di lavoro sul corpo è tipico dello yoga, dove molte volte il mantenimento nelle posizioni, che si chiamano asana, viene fatto attraverso questo tipo di contrazione, permettendo di ottenere più spazio ma allo stesso tempo di mantenere il tono muscolare e quindi anche la potenza contrattile.

Forzare arbitrariamente le aperture e gli allungamenti non è mai una buona idea. Utilizzare la forza o addirittura il proprio peso sul corpo di un altro è il modo migliore per provocare infortuni, soprattutto se non si conosce molto bene l’anatomia e se non si è mai fatto alcuno studio esperienziale sul tocco terapeutico, che consente di sviluppare la giusta sensibilità per padroneggiare l’arte di aiutare e non quella di distruggere. Se non avete questo tipo di bagaglio alle vostre spalle, sconsiglio vivamente di usare le mani sul corpo degli allievi, persino con i più flessibili, che sembrano fatti di gomma, ma in realtà hanno dei limiti come tutti, solo più distanti. Farsi male è qualcosa che avviene in un istante. Riabilitarsi dopo un trauma può costare anche anni di lavoro e un corpo che non è più quello di prima, poiché all’infortunio fanno seguito una serie di compensazioni che possono compromettere l’allineamento. Poiché, come abbiamo già detto, la fascia ha una sua memoria e proprietà plastiche, sarà poi un lavoro lungo e complesso, soprattutto senza un supporto professionale, riportare il corpo ad un equilibrio soddisfacente.

Spingere i talloni in avanti in prima o in quinta posizione, sollevare un arabesque dal piede senza supportare il ginocchio, forzare la gamba alla seconda senza assicurarsi che l’altra (quella più importante) abbia il dovuto radicamento, incrementare l’inarcamento manualmente senza assicurarsi che l’addome sia abbastanza forte oppure salire sul bacino con tutto il peso mentre l’allievo se ne sta con le gambe aperte a pancia in giù, sono azioni che non andrebbero mai fatte. Ogni tocco che viene imposto senza rispettare i limiti indicati dal corpo ricevente, anche qualora la persona non dia alcun segno di sofferenza, è una vera e propria violenza, qualunque sia la motivazione che vi spinge a farlo. Una violazione dello spazio privato della persona, che con le giuste indicazioni, potrebbe fare da sola un lavoro certamente più fruttuoso e in tutta sicurezza.

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