Lia Courrier: “Insegnare vuol dire analizzare incessantemente ogni dettaglio di ciò che vuoi trasmettere”

di Lia Courrier
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Cosa rende speciale un maestro di danza?

Una domanda che mi assilla fin dalla prima esperienza di fronte alla classe di una formazione professionale, un giorno di ottobre del 2001, dal momento che non provengo da un percorso accademico all’interno di un Teatro prestigioso. Pur possedendo un’ottima musicalità, memoria, senso dello spazio, comprensione del codice, istinto per il movimento e tante altre qualità, infatti, la forma del mio corpo non mi ha mai aiutata ad accedere ad una di queste Accademie di Ballo per  realizzare quello che era il  mio sogno di allora. Ringrazio il cielo di abitare in un corpo sano, atleticamente reattivo,  ma che purtroppo non rientra nei canoni richiesti.

Ho sempre percepito una specie di buco nella preparazione: nonostante  abbia studiato assiduamente con grandi maestri provenienti proprio da quell’ambito che mi aveva rifiutata, la sensazione di non essere abbastanza è rimasta come segno indelebile nel mio programma psichico con la danza. Questo non vuol dire che io abbia accettato passivamente questa condizione, così ho approfondito lo studio del corpo e della relazione con l’altro attraverso altri approcci anche diversi da quelli proposti dalla danza, che hanno arricchito il mio bagaglio di visioni diverse, aggiungendo dettagli e punti di osservazione nuovi e interessanti.

Non è mai facile alimentare la propria autostima quando il sé giudicante è eccessivamente presente e profondamente radicato, anche quando pensi di aver superato certe insicurezze eccole lì ancora a fare capolino quando meno te lo aspetti. Non è mia intenzione autocommiserarmi, quanto condividere un’esperienza che credo sia comune tra chi insegna danza: dobbiamo sempre mostrarci sicuri e risoluti davanti agli allievi, facendo i conti con le nostre proprie insicurezze e fragilità, che fanno parte dell’umana esperienza. Per tutte queste considerazioni è mia opinione che il lavoro su sé stessi sia da considerarsi il più importante da compiere, come persona ma soprattutto nel ruolo di guida, in particolare nell’ambito della danza. Il posto dell’ego sulla scena è inversamente proporzionale a quello che dovrebbe occupare quando si conduce una classe, perché l’insegnante è al servizio degli allievi, sono loro i protagonisti.

Qualche giorno fa ho guardato la Special Masterclass al YAGP con Maria Khoreva, meravigliosa ballerina dalle linee cristalline, molto attiva sui suoi canali social, seguitissimi dai giovani ballerini.
Occasione unica e ghiotta per le giovani candidate avere una maestra d’eccezione come lei. Ha mostrato pienamente ogni esercizio e vederla spiegare l’adagio è stato un po’ come assistere ad una performance all’interno della lezione, difficile staccarle gli occhi di dosso, ammirando le sue bellissime gambe, la forza, il controllo, l’artisticità di ogni gesto. Tuttavia insegnare non è solo questo, almeno dalla prospettiva della mia generazione che ha studiato con maestri anche molto anziani, non più nelle condizioni di poter mostrare alcunché ma che hanno comunque tirato su schiere di eccellenti ballerini, alcuni dei quali arrivati anche molto in alto nell’Olimpo della danza.

In realtà, e lo dico senza critica ma solo come osservazione, ho trovato gli esercizi assegnati da questa maestra speciale un po’ complessi per il tipo di classe a cui si è rivolta, abbastanza disomogenea,  alcune ragazze hanno fatto fatica a cogliere i dettagli delle sequenze e la musicalità della sua proposta. Inoltre il tipo di indicazioni e di correzioni, il tono della voce, il ritmo della lezione: si sente chiaramente che il suo è, giustamente, il punto di vista di una giovane ballerina che sta vivendo il momento apicale della propria carriera.

Lungi da me giudicare il lavoro di qualcun altro, men che meno quello di Maria Khoreva, quello che penso è che insegnare non sia ancora il suo ruolo, la scena è il luogo a cui ora appartiene, speriamo ancora per molto tempo. Ho voluto parlare di questa masterclass come esempio per far capire che avere un’eccellente esecuzione dei movimenti non significa automaticamente essere una guida efficacemente al servizio della classe come entità e di ogni individuo che la compone. Molto probabilmente, se e quando vorrà compiere una transizione ad altro ruolo, Maria Khoreva sarà una bravissima insegnante, nel momento in cui si dedicherà a questa esperienza con costanza e per lungo tempo, perché è solo così che si impara a farlo davvero.

Un famoso maestro di Yoga diceva: “Se vuoi conoscere qualcosa, leggi a riguardo. Se vuoi imparare qualcosa, studiala. Se vuoi padroneggiare qualcosa, insegnala”. Non potrei essere più d’accordo. Da quando insegno ho imparato molte più cose sulla danza di quando ancora calcavo le scene e giravo per tutti i centri di studio alla ricerca di lezioni e maestri da cui imparare. Insegnare vuol dire analizzare incessantemente ogni dettaglio di ciò che vuoi trasmettere, fisicamente ma soprattutto verbalmente, alla continua ricerca di un modo più congeniale di farlo, più semplice e diretto, togliendo tutto il superfluo per rimanere solo con l’essenza. Questo è un processo di maturazione lungo che ti porta sempre più in profondità nella personale comprensione dei contenuti, tecnici o artistici che siano.

Insegnare è innanzitutto studiare sé stessi, osservare le proprie esperienze e affidarsi ad esse, alle percezioni interiori che ne emergono, anche quando queste non sono contenute nei libri o non fanno parte della trasmissione accademica. Se un concetto o un’azione per te sono più che funzionali, bisogna avere coraggio e fiducia in queste intuizioni, perché il corpo non mente, e quella verità che senti può non essere utile per tutti ma per qualcuno può rappresentare una sorta di illuminazione. Mi è successo tante volte.

Ad un certo punto ho capito che non aveva senso desiderare di essere ciò che non sono, che la mia strada era quella di accettare la natura della mia mente curiosa, a cui piace esplorare fuori dagli schemi, colorare fuori dai bordi, alla ricerca di qualcosa che sia puro nell’essere, al di là della perfezione nell’apparire. Non c’è nulla di sbagliato ovviamente in un approccio più estetico con la danza, ma forse è proprio questo mio corpo inadeguato per questa disciplina ad avermi portata verso un punto di vista diverso da quello di molti altri, a seguire mappe che non sono contenute nei manuali “ufficiali”, ma che comunque hanno sempre funzionato su molti allievi che si trovano su un cammino simile al mio. Mi sono affidata alle mie intuizioni, basate su decenni di pratica della danza in ogni sua forma, conoscenze somatiche, oltre che sulle mie percezioni interiori, e ne ho fatto il mio segno, il mio modo di vedere e di trasmettere la danza classica, pur rispettando e onorando ogni dettaglio previsto dalla tecnica.

Mi sono resa conto che ogni insegnante ha qualcosa di speciale da offrire e ognuno può scegliere l’approccio che risuona di più con il proprio sentire fisico, mentale e artistico. Una volta trovata la propria strada l’unica cosa da fare è continuare a studiare, approfondire le conoscenze, anche attraverso il confronto con i colleghi, guardando le loro lezioni, per poi farne una rielaborazione personale. Ho capito che quello che dovevo fare era solo donare me stessa nella versione più autentica possibile, con la consapevolezza di non poter piacere a tutti e di non avere la stima di tutti i colleghi, preoccupandomi solo di raggiungere quella coerenza interiore e quella chiarezza nel pensiero che rappresentano uno degli elementi per me più importanti dell’essere un insegnante. 

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