Lia Courrier e i flussi di attenzione dei giovani allievi

di Lia Courrier
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Il mondo della formazione, inteso in senso generale e non solo nell’ambito della danza, si trova ad un punto cruciale del suo cammino. I programmi e i metodi utilizzati finora si stanno rivelando in qualche modo inadatti alle nuove generazioni di studenti, che faticano ad adeguarsi alle proposte didattiche e ai metodi di apprendimento. In seguito a queste grandi difficoltà, troppo spesso le vecchie generazioni rimangono arroccate dietro alle abitudini e al proprio modo di guardare alla vita, ripetendo -come un vecchio disco rotto- che i giovani non hanno voglia di impegnarsi, che non riescono a concentrarsi o che sono degli smidollati incapaci di impegnarsi in qualcosa per più di cinque minuti.
Personalmente non credo molto a questa visione della gioventù, e del resto anche i nostri nonni e i nostri genitori hanno fatto questi discorsi dacché ne ho memoria, il che vorrebbe dire che l’intelligenza dell’umanità a questo punto si dovrebbe trovare in piena fase di regressione, con il cervello di una ameba (con tutto il rispetto per il sistema nervoso di un essere così antico). Il fatto è che il mondo cambia costantemente, in particolare negli ultimi quarant’anni, in cui questa trasformazione è avvenuta in modo straordinariamente veloce .
Se consideriamo venti anni come intervallo medio tra una generazione e l’altra, il gap che separa le ultime due potrebbe essere considerato un immenso oceano, a confronto con quello tra le generazioni precedenti: le innovazioni tecnologiche, ormai ad uso e consumo non soltanto di pochi, ma presenti nelle case e nelle vite di tutti, hanno creato un divario difficilmente colmabile tra chi ha dovuto imparare a comprendere il mondo digitale e chi invece ci è dentro per nascita.
Nativi digitali.

Così sono stati chiamati tutti coloro che hanno avuto accesso ai supporti tecnologici dalla nascita.
Le neuroscienze ci hanno mostrato le  straordinarie proprietà plastiche del nostro cervello, il che vuol dire che può modificare funzione e forma a seconda della tipologia di sollecitazioni ricevute nel tempo. È molto facile immaginare quanto il cervello di un nativo digitale possa essere diverso da quello di chi invece è nato in epoca precedente, così come saranno profondamente diversi i metodi di apprendimento.
Che ci piaccia o no, questo è il punto in cui l’evoluzione ci ha portati, e stiamo vivendo quella stagione in cui insegnanti e formatori di vecchia generazione lavorano con allievi nativi digitali. Con tutte le difficoltà che ne conseguono. Parliamo lingue differenti e le nostre menti hanno necessità e modalità diverse, per questo penso che il mondo della formazione debba porsi domande importanti, come del resto stanno facendo in molti in alcune zone del mondo in cui la formazione scolare, così come l’abbiamo conosciuta finora, è stata messa in discussione, smontata in ogni suo pezzetto, per ripartire da zero su diverse premesse.
Il nocciolo della questione è la qualità dei flussi di attenzione, che nei nativi digitali hanno forme e tempi molto instabili, dal momento che riconoscono solo stimoli intensi e di breve durata che si succedono continuamente. Hanno bisogno di variare spesso oggetto di osservazione, proprio perché questo è il modo in cui sono abituati ad accedere alle informazioni attraverso la rete.

Modificare la didattica non vuol dire ovviamente assecondare o promuovere queste nuove caratteristiche della mente digitale, anzi, sarebbe opportuno proporre attività che tendano a stabilizzarla e rallentarla, come ad esempio lo yoga e la meditazione, la cui introduzione nei programmi scolastici, così come accade in molte strutture anche qui in Italia, sembra aver dato risultati sorprendenti sulla qualità della concentrazione dei ragazzi, sul loro rendimento scolastico, sulla capacità di socializzare e collaborare. Quello che ci serve è trovare nuovi canali d’accesso e modalità che ci permettano di contattare l’attenzione dei giovanissimi, soprattutto in una attività come la danza, attività quasi anacronistica rispetto a tutta questa velocità in cui siamo immersi, dal momento che il suo apprendimento richiede ripetizioni infinite e un tempo metabolico che permetta al corpo di imparare le abilità richieste dalla tecnica e dalla scena.
È ormai sotto agli occhi di tutti come la danza classica sia disertata dalla maggior parte dei giovani. Anche coloro che la praticano da piccoli, al momento dell’ingresso nell’adolescenza preferiscono rivolgersi verso tipologie di danza che non richiedano tanto impegno e tanto tempo prima di poter veder risultati tangibili. Se riavvicinare i giovani allo studio di questa antica arte è tra le nostre intenzioni, forse dovremmo porci di fronte alla possibilità di un cambiamento che tenga conto di questa trasformazione, senza snaturare l’essenza della disciplina, per avvicinarsi alle esigenze di questi nuovi cervelli superveloci che triturano tutto, divorano ogni cosa, spesso senza preoccuparsi troppo di assaporarla. Aiutiamoli a capire come si mangia un buon piatto, masticando lentamente e godendo di ogni boccone. Il mondo continua a cambiare, accelerando progressivamente questo processo. Nessuno sa dove ci porterà tutto questo, ma di sicuro non possiamo pensare che una componente così importante per la società, ossia la formazione, possa restare ferma ad un modello progettato per un mondo che non esiste più.

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