Lia Courrier: “Definire la danza contemporanea è come maneggiare una saponetta bagnata”

di Lia Courrier
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La danza contemporanea sfugge ad ogni definizione, muta, si trasforma continuamente alla ricerca della propria verità, di essere sé stessa, totalmente immersa e radicata nel momento presente di una società dinamica dal volto mutevole.

La danza contemporanea chiamata ad essere cronaca dei tempi vuoti e violenti che stiamo vivendo, che suo malgrado si trova ad incarnare le afflizioni dell’esperienza umana, coscientemente o meno, lasciandosi infondere da queste energie contrastanti e conflittuali che reclamano – spesso inascoltate –  un canale per farsi raccontare attraverso il corpo.

La danza contemporanea, che oggi arriva dopo che molto è stato detto e fatto, davanti alla sfida di sorgere dalle sue stesse ceneri, trovare nuove soluzioni e idee, reinventarsi per rimanere fedele a sé stessa e alla propria missione.
È compito arduo descrivere la danza contemporanea, ogni volta che ci si prova è come cercare di maneggiare una saponetta bagnata che sguiscia da tutte le parti senza farsi afferrare. Questa sua natura sfuggente, camaleontica, mutaforma, ha sempre creato confusione sia tra i fruitori della danza che tra gli addetti ai lavori. 

Possiamo però ribaltare il punto di vista e provare a definirla per cosa non è.

La danza contemporanea non è danza moderna. Quando ero in formazione, nel programma settimanale erano previste lezioni di danza contemporanea, con un’insegnante meravigliosa proveniente dall’universo di Carolyn Carlson e che a sua volta è ricercatrice e coreografa, nella cui proposta didattica non c’era solo lo studio del movimento (la cosiddetta “tecnica”) ma anche diverse occasioni di esplorazione attraverso l’improvvisazione e la composizione coreografica. Avevamo anche lezioni di modern, nel nostro caso tecnica Limòn, tenute da uno straordinario maestro che si era formato in Germania. Le due discipline erano state nominate in modo diverso per distinguere i due diversi tipi di approccio.

Tecniche come Cunningham, Limon, Graham e altre, sono da considerarsi danza moderna, con una metodologia cristallizzata in forme riconoscibili e riproducibili. La contemporaneità della danza ha visto nella didattica un progressivo allontanarsi da questo processo di sedimentazione delle forme, rivolgendo attenzione più ai principi che stanno alla base della forma. Anche oggi esistono modalità di esplorazione nel corpo di successo (Flying Low, Fighting Monkeys, Gaga, solo per citarne alcune) ma si lavora su principi o concetti, lasciando il corpo libero di manifestare la propria risposta.

La danza contemporanea non è balletto contemporaneo. 

La danza contemporanea oggi non ha un legame diretto con la danza classica, l’albero genealogico non vede le sue radici nel balletto ma in tante altre discipline motorie e somatiche che stanno sempre più convogliando in un unica stanza in cui potenza, atletismo, consapevolezza, biologia, fisica, scienza e spiritualità possano miscelarsi.

La danza moderna ha ancora un legame abbastanza chiaro con l’estetica e la tecnica della danza classica. Nelle lezioni di modern che seguivo a scuola facevamo un bellissimo lavoro alla sbarra, a cui alla sequenza classica venivano applicati i principi della tecnica Limon. La danza contemporanea ha già da tempo abbandonato questa linea evolutiva per muoversi altrove, aprirsi ad una ricerca in cui il corpo possa esprimersi libero da qualsiasi costrizione formale, almeno questo sulla carta, poi nella realtà non sempre le cose vanno davvero così.

Personalmente preferisco definire come “balletto” contemporaneo (e non “danza” contemporanea) tutto ciò che è stato creato a partire dalla prima metà del 1900, grazie alla ricerca coreografica di molti geni che si sono succeduti nell’esplorare le possibilità di rompere la purezza accademica delle linee del balletto, muoversi nell’astrazione, eliminare alcuni simboli come il tutù, per esempio, mantenendo però un dichiarato legame con la tecnica classica.

Esplorazione cominciata da Balanchine, Robbins e altri, per culminare in opere eterne come “In The Middle” del geniaccio Forsythe. Questa discendenza del balletto rappresenta una vena dorata particolarmente proficua, che ancora oggi continua a donarci gioielli di grande brillantezza, come la meravigliosa “Giselle” creata da Akram Khan. Le compagnie di balletto di tutto il mondo si stanno aprendo sempre di più alle collaborazioni con coreografi che possano lasciare creazioni di balletto contemporaneo da affiancare al repertorio classico.

La danza contemporanea non è quella che vediamo ai concorsi come YAGP o nei talent show americani. Ho difficoltà a definire quel genere di performance perché somiglia molto più ad un programma di ginnastica ritmica che non ad una coreografia. Siamo tutti d’accordo che la danza sia ben altro che fare acrobazie o contorsionismo, eppure siamo ancora fatalmente suscettibili alla colonizzazione culturale americana. Molti colleghi e colleghe condividono i video di giovanissime atlete che vanno ai concorsi di danza con queste coreografie di dubbia pertinenza e senza alcun obiettivo artistico, descritte come danza contemporanea e ogni volta sento qualcosa dentro di me spegnersi definitivamente.

La danza contemporanea non è quella che “non si capisce niente”.

Bisogna chiarire un punto cruciale: anche se da ciò che ho scritto si potrebbe evincere che quindi danza contemporanea è qualsiasi cosa non sia identificabile in altro, che “vale tutto”, non è proprio così. Per realizzare uno spettacolo è necessario avere competenze non solo in coreografia ma anche in drammaturgia, regia, musica, scenografia, illuminotecnica, costumi e molto altro, perché anche se il coreografo si può avvalere di collaboratori che curino questi aspetti, spetta a lui avere la visione d’insieme e sapere esattamente dove vuole andare.

Ho sempre pensato che l’arte sia per tutti, che un artista che crea per se stesso, solo per nutrire esclusivamente il proprio ego, senza alcun desiderio di condividere o comunicare, farebbe meglio a fare teatro alla domenica pomeriggio, come hobby. L’arte è per me un’emanazione di sé verso gli altri, bisogna saper aprire dei canali attraverso cui la propria idea giunga allo spettatore in modo efficace.

A questo serve conoscere le tecniche della scena.

Se assisti ad una rappresentazione teatrale e alla fine ti chiedi cosa mai hai appena visto, non sei tu a non essere abbastanza intelligente o colto. Il problema è che lo spettacolo che hai visto non è stato realizzato con sufficiente competenza. Un’opera degna di questo nome può essere letta a più livelli, sia dalle persone molto colte e conoscitrici della danza così come dai neofiti. Non importa capire didascalicamente, ma riuscire a portare il pubblico nella propria dimensione.
Personalmente ho l’abitudine di non leggere mai le sinossi prima di sedermi in platea, perché credo che un’opera non abbia bisogno di spiegazioni, specialmente per la danza, un linguaggio non verbale, che ha eletto a strumento il corpo (emotivo, politico, sociale che sia).

Sovente, specialmente nelle produzioni italiane, sempre a corto di fondi, in cui la figura del drammaturgo praticamente non esiste, mi capita di non capire assolutamente nulla di quello che vedo per poi, quando vado a leggere la sinossi, trovarmi di fronte alla dispensa di un corso universitario in cui, per quanto interessante sia il soggetto, non riconosco nulla di ciò che ho visto.
Se sei bravo con le parole, fai lo scrittore.
Se sei bravo a trasporre nel corpo concetti, emozioni, idee, allora puoi creare danze.

Come ho già espresso molte volte, la brevità della produzione artistica è una vera piaga da questo punto di vista, perché toglie la possibilità di fare una ricerca seria e profonda. I movimenti vengono messi in fila a volte più per un appagamento estetico che non per una reale necessità drammaturgica. Vedo gli stessi “trick” acrobatici in centinaia di coreografie diverse, perché quello è il trend del momento o perché “lo so fare e quindi lo metto”. Creare coreografie è tutta un’altra cosa, vuol dire lasciar emergere dalla ricerca un linguaggio proprio, formato da vocaboli funzionali al personaggio al racconto, che nasca dalla ferma volontà di esprimere un’idea.
In caso contrario ci si sta solamente omologando alle tendenze del momento, una mera riproduzione seriale di un modello, ma questo non è interessante e soprattutto non risponde all’esigenza della contemporaneità, che richiede il contributo creativo di ognuno.

La danza contemporanea, infine, non è necessariamente quella in cui si indossano i calzini.

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