Lia Courrier: “Che tipo di sollecitazione può ricevere un corpo in fase di sviluppo?”

di Lia Courrier
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L’argomento che oggi propongo di affrontare su queste pagine digitali, riguarda il corpo e il mantenimento della salute nella pratica della danza.

Pare proprio che l’ipermobilità sia oggi una delle caratteristiche più richieste per un danzatore che desidera adeguarsi con gli standard imposti per essere competitivo sul mercato del lavoro. Tutta la comunicazione visiva intorno alla danza, ci mostra escursioni articolari da capogiro e pratiche che hanno l’obiettivo di esasperare questa caratteristica a tal punto che a volte mi chiedo come i danzatori facciano a compiere i semplici gesti della quotidianità senza perdersi i pezzi per strada.

Questa tendenza è presente sia in ambito professionale che in quello amatoriale. Mi sono passati davanti agli occhi tanti video che testimoniano sessioni di stretching estremo, in classi di allievi anche sotto ai 12 anni, con utilizzo di pesi, elastici, attrezzi per forzare il corpo e raggiungere sempre maggiore spaziosità

Nonostante non abbia allievi così giovani, quindi parlo senza avere esperienza diretta sul campo, al cospetto di questo tipo di pratiche emergono delle riflessioni che vado a condividere con voi, miei cari lettori.

La conoscenza dell’anatomia dello sviluppo è un campo fondamentale per chi insegna ai bambini,  ogni fase della crescita comporta cambiamenti importanti, che possono manifestarsi anche nel breve termine e interessano le proporzioni, la postura e la qualità dei tessuti stessi.

Prendiamo anche solo il tessuto osseo, che completa la sua calcificazione a circa 25 anni. Prima di allora le ossa sono suscettibili alle sollecitazioni esterne, specie se reiterate e continue, come per chi pratica danza una, due volte a settimana o più. Il tessuto osseo tende a depositare i cristalli di calcio laddove percepisce maggiore stress (parola che in questo contesto viene utilizzata per indicare una forza biomeccanica) un processo presente per tutta la vita, ma in modo particolare negli anni del sviluppo, quando il rischio che l’osso modifichi la sua forma naturale per gestire la risposta a queste forze è maggiore.

L’arco plantare completa la sua stabilizzazione intorno ai 6-7 anni di età ma può continuare fino ai 12-13 anni, questo vuol dire che qualsiasi forzatura sulla struttura in questa fase dell’esistenza potrebbe incidere sulla salute del piede che, al di là di essere uno strumento iconico per i danzatori, è anche una struttura dal potente valore simbolico, nonché una mappa di tutto il corpo, come ci insegna la riflessologia plantare. La condizione di rotazione esterna dei femori imposta dal balletto, qualora si forzasse per rispondere alla richiesta di una rotazione di 90 gradi per femore, ossia quella indicata da Agrippina Vaganova, specialmente in soggetti che non mostrano questa qualità nelle articolazioni, può aprire la strada a effetti collaterali potenzialmente pericolosi, come la pronazione del piede e da qui il disequilibrio dell’intera struttura, dato che i piedi sono la base d’appoggio.

Questo a meno che l’insegnante non sia in possesso delle conoscenze anatomiche per poter guidare con precisione e chiarezza.

Le curve fisiologiche della colonna vertebrale iniziano a formarsi molto presto, nei primi mesi di vita, ma terminano il processo di armonizzazione solo verso gli 8 anni. Prima di questo momento il corpo attraverserà delle fasi in cui costantemente si mostreranno variazioni nelle proporzioni e nella postura. Anche in questo caso bisogna fare attenzione a non forzare la struttura entro paletti troppo stretti, perché questo potrebbe avere effetti sulla futura forma della colonna vertebrale. La rettilineizzazione delle curve fisiologiche è una condizione talmente comune nei ballerini classici, da essere considerata la norma, un effetto collaterale che sembra non avere alcuna ripercussione sulla salute del corpo.

Chi conosce l’anatomia, però, sa bene come il corpo sia da considerarsi un insieme olistico, ossia un sistema in cui ogni singola parte comunica con tutte le altre. Qualsiasi tipo di trauma o sollecitazione eccessiva ricevuta da un segmento di una struttura olistica, verrà preso in carico dall’intero. Questo vuol dire che un cambiamento radicale nella naturale fisiologia di una parte del corpo avrà effetti sull’unità.

Nel corpo umano la funzione determina la forma e nessuna di queste è lì per caso. La curva della colonna dorsale, convessa posteriormente come specchio della curva anteriore dello sterno, dona alla “stanza” del respiro grande spazio, permettendo ai polmoni di espandersi indietro, dal momento che sul davanti il cuore, incastonato come una pietra preziosa tra le due spugne polmonari, ne occupa una considerevole porzione. Quindi rettilineizzare questa curva ha un effetto blandamente inibitorio della piena espressione del respiro, con tutto ciò che ne consegue. Non si ptratta di una patologia degenerativa grave, ovviamente, ma una volta che queste informazioni vengono studiate e comprese nella loro importanza, possiamo agire permettendo ai nostri allievi di studiare danza senza interferire con i naturali processi dello sviluppo, così delicati e decisivi per gli adulti che diventeranno, preparando per loro una proposta formativa che rispetti queste tappe così importanti.

Bisogna ricordare che nelle Accademie di Ballo, dove uno dei criteri d’accesso è l’idoneità fisica, il primo corso è formato da studenti di 10 anni (le punte solo dagli 11-12 anni). A questa età i giovani aspiranti eseguono esercizi alla sbarra e cominciano la formazione accademica, mentre prima seguono il programma di propedeutica in cui si affronta lo studio della postura, lo sviluppo della forza muscolare, ma anche esercizi per la musicalità, senso spaziale e lavoro di gruppo, tutte competenze importantissime per un danzatore.
Prima dei dieci anni si possono fare tante pratiche per preparare i bambini alla disciplina della danza stimolando al contempo intelligenza somatica, creatività e sensibilità musicale con un approccio giocoso e leggero che permetta loro di imparare con gioia e in sicurezza.

Per tutti questi motivi, e molti altri ancora non discussi qui per questioni di spazio, penso che lo stretching con l’utilizzo di attrezzi non sia indicato per allievi sotto i 13 anni (per i più grandi ci si può spingere un po’ di più ma sempre l’attenzione a non forzare dovrebbe essere una priorità). Trovo invece indicato un allenamento funzionale a corpo libero, dedicando uguale tempo all’allungamento e al rafforzamento. Lo stretching passivo infatti, sebbene possa dare la sensazione di aprire gli spazi, ha come effetto collaterale quello di abbassare il tono basale del muscolo, rendendolo più debole, inibendo la capacità contrattile e quindi esponendo, a lungo termine, le articolazioni a vulnerabilità. Quando vogliamo portare i nostri studenti a padroneggiare le grandi estensioni, penso sia bene proteggere le articolazioni con una muscolatura tonica e forte e sviluppare chiarezza nei gruppi muscolari da ingaggiare per una data azione.

Per i più piccoli questi esercizi dovrebbero essere adeguati alla fase dello sviluppo che stanno vivendo, perché anche una muscolatura troppa sollecitata può influire sulla forma delle ossa, dal momento che i muscoli originano e si inseriscono proprio sul tessuto osseo. Via libera ad una sollecitazione decisa ma moderata, mai troppo invasiva e sempre in ascolto, guidando i bambini verso un contatto più profondo con il proprio corpo, imparando a rispettarlo, conoscerlo, abitarlo serenamente. Soprattutto per i soggetti che presentano naturalmente caratteristiche di iper mobilità, sarebbe opportuno non esasperare questa caratteristica di lassità articolare ma puntare a contenere questa escursione con la forza muscolare, preservando il corpo da infortuni nel presente e da usura in futuro.

Sappiamo bene che in alcune specialità sportive i bambini vengono sottoposti fin da piccoli a sessioni di contorsionismo, come accade per la ginnastica ritmica ad esempio, ma in ambito coreutico preferisco osservare da una prospettiva conservativa, sostenendo fermamente l’idea che sia preferibile sviluppare negli allievi una buona propriocezione e una convivenza sana con il proprio corpo, strumento sensibile e reattivo attraverso cui la danza potrà lasciar emergere emozioni e racconti,  senza limitarsi ad essere mero esercizio ginnico, pertinente per lo sport ma non per l’arte.

Lamentiamo spesso di come la danza stia prendendo una deriva  estetica, sempre più lontana dalla trasmissione “da cuore a cuore”, ma è proprio nelle scuole di danza che possiamo cambiare rotta, adottando una scala di valori che metta al primo posto l’intelligenza somatica e quella emotiva.

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