Lia Courrier: “Che cos’è il talento? Lo possiedono tutti? Come lo si trova?

di Lia Courrier
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Chiacchierando del mio lavoro con una persona che proviene da tutt’altro ambito, ad un certo punto si è arrivati a parlare del talento, presupponendo che chiunque intraprenda gli studi professionali per diventare danzatore ne possegga uno. In qualche modo è vero, ho imparato a scorgere in ogni allievo talenti inaspettati, anche nei soggetti che al primo incontro mi erano sembrati esserne privi. Il talento necessario per danzare è qualcosa di inafferrabile e misterioso, dalle molteplici sembianze, a volte sfacciato e arrogante, altre conturbante e velato. Non esiste una definizione per questa scintilla creativa che in alcuni brilla in modo prepotente, mentre in altri, nonostante l’impegno e la costanza, rimane debole e senza quella spinta vitale necessaria per emanarsi. Proprio come la fragranza di un fiore, il talento si emana e colpisce i sensi in modo diretto e inaspettato, ma con una precisione chirurgica.

La determinazione, l’impegno continuativo e costante, l’intenzione stabile possono tirare fuori anche quello che, per qualche motivo, stenta ad emergere spontaneamente, a volte sbocciando tardivamente in splendidi colori e forme, ma certo esiste quella componente segreta che in qualche modo fa capolino dallo sguardo, dall’istinto, da ogni gesto, dal temperamento, dalla semplice presenza, e un insegnante lo sente, lo vede, lo sa.

Mentre continuavo questa interessante discussione, ad un certo punto mi è venuto in mente Michelangelo Buonarroti, che sosteneva di vedere già la scultura quando si trovava davanti al blocco di marmo ancora grezzo. Allo scultore viene chiesto solo di eliminare il ‘soverchio’, la materia in più, per lasciare che le forme vedano la luce:

“Tu vedi un blocco,

pensa all’immagine:

l’immagine è dentro

basta solo spogliarla.”

Oppure ancora: “Ho visto un angelo nel marmo ed ho scolpito fino a liberarlo”

La sensualità carnale e l’ispirazione mistica, cifra stessa della scultura michelangiolesca, sono racchiuse in queste due frasi che lo rappresentano in pieno e illustrano il processo creativo come da lui concepito. Un modo incredibilmente umile di vivere la sua brillante grandezza di artista.

Credo che, in fondo, un maestro non possa insegnare niente che l’allievo, in qualche parte o aspetto del proprio essere, non sappia già. Il mio lavoro è simile al processo descritto così bene da Michelangelo: svelare, rendere visibile. Non devo agire per aggiungere, ma per eliminare il ‘soverchio’ e permettere all’allievo stesso, per primo, di scoprire quello che neanche lui riusciva a vedere.

Detta così sembra facile, in pratica basterebbe agire il meno possibile e lasciare che la natura profonda, l’essere danzante dell’allievo, compia quello sforzo necessario per portarsi allo scoperto, esattamente come fa la pianta quando deve rompere il duro guscio del seme per poter emergere dalla terra come germoglio e cominciare la sua crescita. Ma quando si parla di esseri umani tutto diventa complesso, ed è molto più difficile fare il minimo indispensabile, piuttosto che affannarsi e agitarsi nel tentativo di ottenere risultati nel più breve tempo possibile.

Persino per il maestro più acclamato e famoso del mondo, sarebbe impossibile ‘insegnare’ il talento, o trasmettere tutti quegli elementi che lo compongono: predisposizione fisica, musicalità, sensibilità, creatività, senso del rischio, forza di volontà, determinazione, curiosità, fermezza, resistenza e molto, molto altro. Se il maestro è capace, innanzitutto, di vedere questo talento anche nel suo stato più grezzo e selvaggio, può scegliere di non soffocarlo, di non rinchiuderlo nelle stanze anguste degli inutili accademismi, degli sterili estetismi, dei protocolli stantii.

Al talento non piace essere costretto, il talento è un anarchico ribelle, anche quando si veste di ordinario. Bisogna lasciargli lo spazio per espandersi, riconoscersi, affermarsi. Per sbagliare, perdersi e poi ritrovarsi. Il talento è affamato, è quasi difficile stare dietro ai suoi appetiti, e quando finalmente emerge in tutta la sua potenza, fagocita tutto, reclama sempre nuovo cibo per il corpo, per la mente o per il cuore. A volte è necessario delimitare un territorio attorno al talento, per non fargli smarrire la strada, per sedarne l’impazienza, per convogliare le energie verso una direzione ben precisa, che può essere chiara al maestro, molto meno all’allievo, ma si tratta sempre di un contenimento transitorio, perché di fronte al talento degli allievi noi non possiamo che esserne testimoni, cercare di supportare i processi necessari per farlo nascere al mondo, come guide, senza mai cadere nella proiezione. Siamo chiamati a rimuovere tutti gli ostacoli che possono impedire l’emersione, ma senza sovrapporre la nostra esperienza a quella di qualcun altro, perché non funzionerebbe, anzi, sarebbe estremamente dannoso farlo: il talento si espande dove trova spazio, cresce, e in questo processo si trasforma, avvicinandosi sempre di più alla sua natura originaria. L’insegnante è un facilitatore che crea un ambiente accogliente e stimolante in cui il talento possa misurarsi con sé stesso e liberarsi dei fardelli che lo appesantiscono, che riguardano non solo il bagaglio di schemi precedentemente appresi, ma anche condizionamenti culturali, familiari e sociali. Il talento, se liberato, può stravolgere tutte queste cose, trasformarle in viva energia creativa, in ribellione, in autoaffermazione in quanto individuo.

Pensate che un simile talento sia una rarità che capita una volta ogni mille anni?

Nella mia esperienza è capitato molte volte di assistere ad una simile nascita, ma certo bisogna rimanere aperti e senza pregiudizi, non vincolati alle idee preconcette che la danza si porta spesso dietro. La scintilla creativa può esprimersi nei modi più diversi, non necessariamente catalogabili, persino in forme mai viste finora, ma ogni volta che accade è un’esperienza elettrizzante per tutti: sia per l’allievo che per me, testimone di questa benedizione.

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