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Lia Courrier: “Alcuni maestri usano la coercizione e l’umiliazione come pratica didattica. Ma è questa la strada giusta?”

di Lia Courrier 18 Aprile 2019
scritto da Lia Courrier 18 Aprile 2019 369 visualizzazioni

Porta la data del 12 Aprile un articolo pubblicato su The New York Times, che parla della decisione dell’Accademia di Ballo dell’Opera di Vienna, di riformare le proprie pratiche didattiche, dopo che alcuni studenti di 11 anni hanno dichiarato di essere stati trattati brutalmente, forzati nelle posizioni al punto da mettere a rischio l’integrità delle articolazioni, pressati affinché perdessero peso, nonché presi a calci e graffiati dagli insegnanti nello svolgimento del proprio lavoro. Pare che molti giovani rinuncino al sogno di danzare proprio a seguito di questi abusi fisici ed emotivi subiti dagli insegnanti, così la Direzione ha cominciato già da Febbraio a consegnare le prime lettere di licenziamento, per quei docenti ritenuti pericolosi per l’equilibrio psichico e fisico degli allievi.

Ho conosciuto alcuni di questi maestri che utilizzano la coercizione e l’umiliazione come pratica didattica, credo che chiunque abbia alle spalle una formazione con la danza ne abbia incontrato almeno uno sul proprio cammino. Sul mio corpo e nel mio cuore porto ancora le cicatrici di quelle ferite, e ogni volta che le guardo mi ricordo che tipo di insegnante voglio essere.

Nel corso dei miei studi professionali, affrontati – come tutti – nella delicata fase adolescenziale dell’esistenza, è stata sistematicamente distrutta la mia autostima, la capacità di essere obiettiva nell’osservare me stessa, e persino la gioia stessa di danzare è stata spenta non tanto dai contenuti di ciò che mi veniva detto, ma dalla modalità con cui veniva comunicato.

Gli insegnanti che usano metodi brutali sono stati allievi abusati a loro volta, non fanno altro che insegnare danza nello stesso modo in cui è stata insegnata a loro. Sono persone che non hanno avuto la forza, la curiosità o l’intelligenza di vedere le proprie ferite, di osservarle e comprenderne la natura, spezzando questa catena per evitare di infliggerle anche agli altri. E’ una coazione a ripetere che non riguarda l’individuo ma una intera comunità: quella degli insegnanti di danza, specialmente danza classica, che continuano a perpetrare questo schema senza rendersi conto della scia di lacrime e sangue che continua a lasciarsi alle spalle. La cosa grave è che finora, questo che potremmo chiamare un ‘metodo didattico’, è stato considerato accettabile da tutti: dai direttori delle formazioni, dai genitori degli allievi e dagli allievi stessi, che per tutto questo tempo hanno pensato di meritare questo trattamento e che anzi, ricevere continue pressioni dall’insegnante indichi una speciale attenzione nei propri confronti. Lo stesso meccanismo per cui alcuni insegnanti dicono che se non si suda o non si sente male a tutti i muscoli del corpo, è perché non ci si impegna abbastanza, il che dimostra quanto poco questi maestri conoscono il funzionamento del corpo, e anche quanto il loro approccio sia determinato a sminuire la persona, facendola sentire una nullità. Il risultato ottenuto ovviamente non è mai premiato, perché altrimenti ci si ammorbidisce, per cui l’allievo deve temere il giudizio del maestro e anelare ad un suo riconoscimento che però mai arriverà: ditemi se questa non è una relazione malata tra un masochista e un narcisista. Una relazione nella quale perdono tutti e nessuno impara.

Negli anni di esperienza con l’insegnamento, in tanti mi hanno sempre detto di essere troppo gentile con gli allievi, e quando non avevo ancora acquisto la sicurezza in me stessa di cui oggi dispongo, ho anche tentato di adeguarmi a questa tradizione che vede l’insegnante di danza rigido e inflessibile, ma dopo qualche anno a interpretare un ruolo scomodo, nel quale mi sentivo ridicola, ho capito che potevo fare della dolcezza e dell’ironia una caratteristica del mio modo di trasmettere la danza. Nella veste di formatore a mia volta, ho deciso di provare a portare un piccolo ma sostanziale cambiamento rispetto a quello che avevo ricevuto da allieva, che si era rivelato così tossico per la mia persona.

Molti anni dopo questa decisione, sono venuta a conoscenza di svariati studi sull’apprendimento, in particolare riguardo all’età dell’infanzia e dell’adolescenza, che evidenziano come sorridendo e divertendosi si impari meglio, e ciò che si è appreso non si dimentica più, poiché viene associato ad una esperienza vissuta come positiva, e quindi si è stimolati a ripeterla ancora e ancora, contrariamente ad un insegnamento che è stato associato ad una esperienza percepita come traumatica o minacciosa, dalla quale è spontaneo rifuggire o cercare di dimenticare. Il nostro cervello si forma attraverso l’esperienza: che tipo di esperienze vogliamo far vivere ai nostri allievi?

L’articolo del NY Times riporta che la Vienna’s Children’s and Youth Protection Unit, ha dichiarato di aver aperto già da Dicembre 2018 un dialogo con l’Accademia di Danza, in merito ad “una rielaborazione fondamentale di atteggiamenti e pratiche pedagogiche”, mentre il Ministro della Cultura austriaco ha ordinato una commissione per creare regole per gli insegnanti di danza.

Non posso che salutare con gioia questa decisione dell’Accademia dell’Opera di Vienna, con la speranza che possa essere da esempio per tante altre realtà in Europa e nel mondo.

Non posso, però, che provare dispiacere per tutti gli allievi che, ancora oggi, in nome di chissà quale fuoco sacro vedano brillare nei loro maestri, si trovano a dover subire l’abuso di potere da parte di coloro che dovrebbero formarli come artisti. Allo stesso tempo provo dispiacere anche per loro, per questi insegnanti, così segnati dai propri traumi da non riuscire ad accedere ad un processo di guarigione che gli permetterebbe di donare generosamente tutto quello che sanno attraverso l’amore.

Credo di aver capito che per diventare un insegnante sia necessario scavare a fondo, scandagliando anche gli angoli più oscuri e impolverati del proprio sé in quanto persona, ancora prima che come danzatore. Bisogna imparare a non proiettare e comprendere che quelle che abbiamo davanti sono persone, non animali da laboratorio o catini in cui vomitare. Le ferite subite negli anni in cui si è vulnerabili sono difficili da rimarginare e restano per sempre impresse nella persona che sarai.

L’errore più grande è stato finora quello di tacere, di tollerare.

Per fortuna, però, qualcosa comincia a cambiare.

L’articolo

https://www.nytimes.com/2019/04/12/arts/dance/vienna-state-opera-ballet-academy-abuse.html?fbclid=IwAR2sCFhes3NVgV5AOvxdRrw_0fvVZI7K5FqsrkQs65myvIGM7WV0eljSJu8

Accademia di ballo dell'Opera di ViennaDance Hall NewsGiornale di danzaLia CourrierSetteottoThe New York Times
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Lia Courrier
Lia Courrier

Lia Courrier studia arte grafica e danza classica nella città di Catania fino alla decisione, all’età di quindici anni, di trasferirsi a Milano per approfondire gli studi coreutici alla Scuola Professionale Italiana Danza (s.p.i.d.).i primi lavori sono tutti sotto la direzione di coreografi legati al balletto: danzatrice stabile al teatro Litta di Milano, danzatrice per Marco Pierin, Alessandra Panzavolta.lavora come mimo-danzatore per il teatro alla Scala, il Carlo Felice e il Comunale di Firenze, sotto la direzione dei registi: Keita Asari, Robert Carsen, Robert Lepage, Giorgio Barberio Corsetti. Dal 2000 inizia il lavoro di insegnante di danza. Studia release technique, con (tra gli altri):Juliette Mapp, Diane Madden, Jeremy Nelson, anatomia esperienziale con Eva Karczag e Body Mind Centering con Trisha Bauman. Ha all’attivo diverse collaborazioni,che hanno portato alla creazione di performance e opere di videodanza rappresentate in vari festival, quali: Lavoriinpelle, Insoliti (corti di danza d’autore), “insoliti Off” , “convergenze”, festival “Bergamo danza estate”, il coreografo elettronico, “festival del ticino”, “danza InMediata” per Ariella Vidach. Per diversi anni ha collaborato con altri performers nell’associazione culturale Graziadicolpo, di cui è stata fondatrice, realizzando performance legate esclusivamente alla pratica e all’utilizzo della composizione estemporanea e produzioni teatrali. Realizza i movimenti scenici per l’opera teatrale ‘Modì, l’ultimo inverno di Amedeo Modigliani’, uno spettacolo musicale diretto e composto da Gipo Gurrado, rappresentato per due stagioni al Teatro Leonardo di Milano. Fondatrice, con Rebecca Pesce e Stefania Trivellin, di ARTICHOKE, un progetto di alta formazione coreutica dedicato e focalizzato sulla danza contemporanea e di ricerca. Attualmente è docente di danza classica e anatomia del movimento in percorsi di avviamento professionale nella città di Milano e dintorni, per lezioni professionali, nonché docente di danza contemporanea in stages e incontri formativi per attori. Nel suo lavoro di insegnante tutto il suo bagaglio e le sue esperienze trasversali confluiscono in un approccio al movimento in cui consapevolezza, coordinazione e dinamica sono protagoniste assolute. Oltre ad essere una danzatrice ed insegnante di danza Lia Courrier è anche un’operatrice olistica in biodinamica cranio sacrale.

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