La Royal Ballet School, una delle istituzioni di formazione più influenti al mondo, sta voltando pagina. Con una serie di manovre che hanno già messo in fibrillazione tutto il mondo della danza, la Scuola ha annunciato una serie di riforme profonde, che hanno lo scopo ultimo di alleggerire la pressione sui giovani ballerini e fare piazza pulita delle idee radicate da decenni su come dovrebbe essere un corpo da balletto.
Al centro del cambiamento c’è la decisione di alzare l’età di ingresso a tempo pieno, mettendo fine alla regola storica di ammettere studenti interni a partire dagli 11 anni. Da settembre 2026, i bambini di quell’età continueranno la loro formazione localmente attraverso i centri Associate della Scuola o tramite un nuovo programma, il UK Scholars, invece di trasferirsi a White Lodge. Lo stesso cambiamento verrà applicato anche per l’ingresso a 12–13 anni dal 2027.
Non si tratta di un aggiustamento marginale. Per decenni, entrare a 11 anni è stato considerato quasi indispensabile per chi sognava un futuro sul palcoscenico principale del Covent Garden. Ma nel corso degli anni, la validità di spingere così presto i bambini verso un percorso altamente specializzato e intensivo è stata sempre più messa in discussione. Numerose ricerche hanno dimostrato che una specializzazione precoce può portare a infortuni, esaurimento e stress psicologico e che i migliori artisti non sono sempre quelli che a 11 anni appaiono “perfetti”.
Forse il cambiamento più simbolico è la fine del cosiddetto sistema di “assessment-out”. In passato, gli studenti potevano essere esclusi a metà del percorso se non rispettavano più determinati standard fisici o tecnici. Da ora, questa pratica verrà eliminata. Gli allievi dovranno comunque sostenere un’audizione per accedere all’Upper School a 16 anni, ma la cultura delle continue ri-selezioni e della paura di essere rimandati a casa lascerà spazio a un approccio più stabile e costruttivo.
Questo passaggio riflette un cambiamento culturale più ampio all’interno del mondo del balletto. L’idea che l’eccellenza sia legata a un unico tipo fisico ristretto sta perdendo terreno. Il Direttore Artistico Iain Mackay, in carica dal 2024, si è espresso apertamente sulla necessità di rivedere tradizioni radicate. “L’eccellenza nel balletto classico non significa conformarsi a stereotipi fisici superati.” ha dichiarato recentemente. “Significa forza, musicalità, arte, intelligenza e presenza.”
Per anni la Royal Ballet School è stata leader degli gli standard della formazione a livello internazionale. È sicuramente un segnale importante la decisione di dare priorità all’arte rispetto alla conformità estetica che avrà probabilmente un’influenza anche su altre grandi istituzioni. Ed è un messaggio fortissimo anche per tutti quei giovani ballerini che in passato si sono sentiti esclusi: provateci, la porta ora è più aperta.
Accanto a questi cambiamenti strutturali, la Scuola ha scelto di rafforzare il sostegno al benessere degli studenti. Ha investito in una rete di supporto più ampia, che comprende psicologi, fisioterapisti, nutrizionisti e specialisti dell’apprendimento. Un concetto essenziale ma finora poco considerato: se gli studenti vengono sostenuti come persone nella loro interezza, cresceranno non solo come ballerini, ma come artisti completi.
Il nuovo programma UK Scholars, pensato per affiancarsi alla struttura Associate, permetterà agli studenti più promettenti di accedere a formazione di alto livello e mentoring senza dover affrontare i disagi di un trasferimento precoce. Non si tratta quindi di abbassare gli standard, ma di allargare la definizione stessa di eccellenza e il momento in cui può manifestarsi.
A mio avviso più opportunità di formazione non significano necessariamente meno danzatori bravi, ma anzi, più e migliori. È innegabile che il balletto non è confinato solamente nelle grandi compagnie: abbiamo bisogno di danzatori qualificati e splendidi in tutto il mondo, ma anche di insegnanti, coreografi e professionisti in altri ruoli fondamentali. Il mondo della danza è in crisi anche forse perché lo abbiamo ristretto e confinato negli stereotipi della perfezione. Una perfezione che di fatto non esiste su questa terra. Ci sono così tanti sbocchi per coloro che hanno la passione e la dedizione per la danza, per esempio diventare consulenti per l’amministrazione culturale regionale e statale, o collaboratori nelle fondazioni che promuovono il balletto, figure essenziali di cui c’è tanto bisogno.
Forse là fuori ci sono danzatori che, se fossero stati sostenuti meglio dal punto di vista del benessere nei primi anni di formazione, non avrebbero finito per abbandonare con gravi problemi di salute mentale. Chissà cosa avrebbero potuto realizzare… Molti dei ballerini “perfetti” quelli che “avevano tutto”, in realtà non avevano proprio quel qualcosa. Possedevano solo il corpo e i piedi giusti. Altri, molti altri, invece avevano quel qualcosa — senza il corpo e senza i piedi perfetti.
Per un’istituzione così profondamente radicata nella tradizione, si tratta di una svolta radicale. Ma è anche un passo perfettamente in sintonia con il presente. Il balletto potrà pure essere nato da linee rigide e schemi severi, ma la prossima generazione di danzatori sarà cresciuta con più flessibilità, più umanità e, soprattutto, più spazio per fiorire.

