Quarto Gala Fracci alla Scala: una serata di grande danza nei binari della tradizione

Teatro alla Scala 15.05.2025

di Nives Canetti
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Il Gala Fracci ha ancora una volta riunito alla Scala tutto il mondo del balletto italiano nel ricordo e nella perpetuazione della grandezza della figura di Carla Fracci. Suo grande merito infatti fu anche quello di portare ovunque la danza, creando una vicinanza profonda dell’essenza poetica e umana di quest’arte con il pubblico più vasto.

Nato dalla iniziativa del precedente direttore Manuel Legris, il Gala, quest’anno alla sua quarta edizione, è stato improntato dal nuovo direttore Frédéric Olivieri a ripercorrere i passi di Carla Fracci restando nei binari delle sue interpretazioni iconiche.

E quindi nel corso della serata abbiamo visto Giselle, Giulietta e Gelsomina i tre ruoli simbolo della Fracci. Non sono mancate le coreografie di Rudolf Nureyev: il Don Chisciotte che lei ballò per prima alla Scala nel 1980, e la Bella Addormentata del 1966. E poi l’Onegin di John Cranko che arrivò con lei prima interprete in Italia nel 1993. Oltre a questi titoli piuttosto visti, ne erano in scena anche alcuni meno frequenti come La Vedova Allegra di Ronald Hynd, che la Fracci ballò anche con Massimo Murru, e per finire l’Excelsior, quando la Signora faceva venire giù il teatro nel galop finale con Paolo Bortoluzzi (meraviglioso nelle foto introduttive della performance) e faceva innamorare il pubblico di un balletto così particolare grazie ad una verve unica.

Eppure la Fracci era anche proiezione verso il futuro, sperimentazione, ricerca di titoli particolari, qualche volta anche un po’ forzati, ma sempre con una tensione verso il nuovo. Questa è la dimensione che forse è mancata a quest’ultimo Gala che poteva osare anche qualcosa di diverso, omaggiando la figura della Fracci con contributi meno visti del suo repertorio oppure fuori dal seminato, paralleli alla sua figura.

La compagnia al completo con elementi della Scuola di Ballo dell’Accademia viene presentata all’inizio con il Defilé in stile Opéra sul Tannhäuser di Wagner, e, se nel corso della serata tutti i primi ballerini trovano i propri ruoli, poco spazio viene lasciato ai solisti e agli elementi emergenti della compagnia come era stato fatto nelle edizioni precedenti. La serata è improntata principalmente su passi a due con il corpo di ballo di contorno, tranne  poche eccezioni come nell’estratto dalla Vedova allegra dove, accanto agli ospiti Marianela Nuñez e Reece Clarke, balla anche Mattia Semperboni come partner di Virna Toppi. Molto apprezzata la costante presenza della musica dal vivo suonata dall’Orchestra della Scala sotto la direzione attenta di Valery Ovsyanikov.

Una gioiosa e rassicurante serata di danza che inizia, dopo il Defilé della Compagnia, con Giselle in una classicissima e canonica  esecuzione di Martina Arduino e Marco Agostino. La verve sicura e brillante di Alice Mariani esplode nel grand pas del Don Chisciotte, formando una bella coppia accanto a Nicola Del Freo, ottimo tecnicamente. Sempre di grande portata la damigella di Maria Celeste Losa.

Divertente la scena da Maxim’s della Vedova Allegra con sei coppie di Can Can molto frizzanti: Virna Toppi e Mattia Semperboni nei ruoli di Valencienne e Camille, mentre Marianela Nuñez  torna nel ruolo di Hanna Glawari che aveva già ballato al primo Gala Fracci, questa volta con Reece Clarke del Royal Ballet. Romantici e languidi nel famoso valzer finale, la loro esecuzione è stata di ottimo livello.

Nicoletta Manni e Reece Clarke hanno poi affrontato il passo a due del terzo atto di Onegin. La maturità artistica ed espressiva di Manni, sempre equilibrata e mai sopra le righe, ha dato uno spessore personale all’interpretazione della figura di Tatjana, nonostante l’estrapolazione di questo passo a due dal contesto del balletto sia operazione non sempre facile. Ottima l’intesa con Reece Clarke, Onegin molto credibile.

Il passo a due del Matto e di Gelsomina da “La Strada” di Mario Pistoni è stato ballato con grande tenerezza da Antonella Albano con Christian Fagetti che hanno mostrato di saper riportare in scena i due struggenti personaggi felliniani in una chiave giocosa e al contempo malinconica.

Particolarmente interessante la ripresa del passo a due del balcone di Romeo e Giulietta di John Cranko, danzato da Romina Contreras e Claudio Coviello. Era molto tempo che alla Scala non si vedeva questa coreografia, essendo in repertorio quella di  Kenneth MacMillan, ed è stato un momento molto intenso ed emozionante. Cranko fa ballare  entrambi i protagonisti per il più del tempo insieme, con l’intento di creare una tensione emotiva palpabile fra i due, mentre MacMillan crea un momento solistico per entrambi dando spessore singolarmente ai due personaggi.

Abbiamo chiesto direttamente a Claudio Coviello il suo pensiero nell’affrontare il ruolo in due coreografie diverse:

“Sostanzialmente le differenze tra le due coreografie sono ovviamente stilistiche ma anche nella struttura concettuale. In MacMillan il passo a due è sicuramente più dinamico, più arioso e “libero”,  una corsa sempre in crescendo fino ad arrivare al momento di “imbarazzo” del bacio quasi inaspettato e impulsivo. In Cranko invece il passo a due è più lirico, con più momenti “statici” come a voler rappresentare la semplicità e la purezza dell’amore che non ha bisogno sempre di grandi parole. Qui il bacio per esempio secondo me è meno impulsivo, ma sicuramente più timido e delicato.”

Romina Contreras  ha grande  familiarità con il  ruolo avendolo imparato a 19 anni al balletto di Santiago direttamente daila direttrice Marcia Haydée, la prima Giulietta di questa seconda versione di Cranko (la primissima versione creata per la Scala fu ballata proprio dalla Fracci con Pistoni a Venezia nel 1958). Ora la Contreras è first soloist a Praga nel National Czech Ballet. E Coviello ha dimostrato che, in qualsiasi coreografia sia impegnato, Romeo è il suo ruolo per eccellenza: con la Contreras, delicata e molto emozionata, hanno ricreato l’atmosfera magica dell’ incontro segreto pieno di ardore e di esitazioni tra due giovani adolescenti.

È stato poi il momento dell’Adagio della Rosa dalla Bella Addormentata in cui Marianela Nuñez con i suoi 4 principi Massimo Garon, Marco Agostino, Navrin Turnbull e Gabriele Corrado ha sfoderato tutti i suoi equilibri più smaglianti e una tecnica pulitissima con grande nonchalance. E, se la capacità di connettersi con il pubblico e con i suoi partner attraverso il suo calore umano è sempre travolgente, la sua nuova interpretazione tutta personale di Aurora ci ha particolarmente sorpreso: un’Aurora più ragazzina che principessa, molto caratterizzata, ammiccante, con una mimica facciale e con un uso dell’inclinazione della testa molto marcato,sicuramente diversa dalle sue performance al Royal Ballet.

La serata, tra gli applausi del pubblico, è finita in gloria con quell’esaltante tripudio del kitsch di fine ‘800 che è Excelsior tutte le sue bandiere e la scritta Pax. Ugo Dell’Ara e Filippo Crivelli fecero un lavoro incredibile nel recuperare questo Gran Ballo nel 1967 così originale nel panorama del balletto. Timofej Andrijashenko nello Schiavo e soprattutto Nicoletta Manni nella Civiltà hanno fatto faville virtuosistiche, mentre nella mente ritornava l’immagine di Carla Fracci e Paolo Bortoluzzi così unici. E per un attimo ho rivisto la Signora Carla, lei con le mani sui fianchi da un solo lato, con un’aria di sfida al pubblico prima dell’ultima diagonale di relevé sul motivo più famoso di Excelsior.

Carla Fracci manca da quattro anni, ma sarà sempre nei nostri cuori.

Photo Brescia e Amisano

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