Venezia non vuole la Venezi e lo sta manifestando in tutti i modi. Sono state immediate, infatti, le reazioni negative di orchestra e coro, a cui si sono uniti tutti i lavoratori del teatro e il pubblico abbonato, alla nomina di Beatrice Venezi direttore musicale del Teatro La Fenice. Classe 1990, la Venezi è direttrice d’orchestra e, dal 2022, consigliera per la musica del Ministro della Cultura.
Ad essere contestati sono il suo percorso, ritenuto non all’altezza di un incarico tanto prestigioso nel teatro. e la nomina calata dall’alto senza il coinvolgimento delle maestranze. Di questi tempi l’ultimo punto non stupisce, ma non è qui che lo si vuole approfondire né si vogliono commentare le simpatie politiche della Venezi, rese note dalla stessa a mezzo social. Ad essere rilevante è quello che è accaduto dopo l’annuncio della sua nomina.
La reazione del mondo musicale è stata immediata e compatta: orchestra e coro del Teatro La Fenice hanno diffuso un comunicato congiunto in cui chiedevano senza mezzi termini la revoca della nomina per i suddetti motivi. A sostegno della protesta hanno fatto seguito giorni di assemblee, la proclamazione di uno stato di agitazione permanente e persino l’annuncio di uno sciopero per il 17 ottobre, in occasione della prima di Wozzeck.
Ancor più significativo è stato il fatto che numerosi lavoratori di altri enti, come quelli del Teatro Massimo di Palermo, del Teatro Regio di Torino, del Teatro Petruzzelli di Bari, del Teatro dell’Opera di Roma, l’Orchestra Sinfonica della Rai e persino il Teatro alla Scala così come altri, abbiano espresso pubblicamente solidarietà ai colleghi di Venezia. Una risposta corale e trasversale che raramente si osserva in altri settori dello spettacolo dal vivo, come la danza – e qui vengo al punto – dove le stesse dinamiche non riescono mai a generare una mobilitazione collettiva altrettanto forte. Persino quando il disaccordo per quanto accade o per certe nomine è diffuso, non si osa urlarlo a gran voce tutti insieme.
Tantomeno si opera come è accaduto per il caso Venezi: volantini distribuiti durante i concerti, lettere aperte, prese di posizione ufficiali e categoriche. Tutto questo perché, al di là delle simpatie personali e delle posizioni politiche, il comparto ha riconosciuto in questa vicenda una questione più ampia e sistemica. Quello che sta accadendo alla Fenice potrebbe perciò diventare un precedente. Non tanto per l’esito della vicenda, ancora aperta, quanto per la consapevolezza che ha chi lavora nella musica del fatto che l’arte è una cosa seria, è responsabilità, ha una dignità e non può essere trattata come si sta facendo.
Certo, se ci stiamo indignado (e va benissimo) per la nomina in questione, dovremmo indignarci ogni giorno perché in Italia, da che ne ho memoria e forse da sempre, le cose funzionano proprio come stiamo vedendo e tutti ci siamo trovati più di qualche volta nella vita di fronte a ruoli attribuiti per amicizia o conoscenza, bandi e manifestazioni d’interesse creati ad hoc per l’assunzione dei propri favoriti e via discorrendo… Bisogna fare tesoro di quanto sta accadendo e prendere esempio. Se è vero che qualcosa si sta muovendo, che si possono riempire le piazze con numeri importanti e ricordare chi ha la sovranità in uno stato democratico, se è vero che il mondo della musica, di fronte all’ennesima ingiustizia, si è svegliato, anche quello della danza stia al passo e insorga in maniera compatta ogni volta che qualcosa non va.
Quello che sta succedendo a Venezia non è solo una protesta contro una nomina, ma un segnale forte che non dovrebbe restare isolato. La compattezza, la determinazione e il coraggio dimostrati dai musicisti della Fenice e da chi ha espresso solidarietà devono diventare esempio anche per gli altri comparti di cultura e spettacolo. Perché quando davvero si vuole un cambiamento, non si può e non si deve restare in silenzio.

