Emanuele Burrafato ricorda l’étoile Elisabetta Terabust

di DANCE HALL NEWS
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Si sono svolti nella chiesa di Santa Maria in Montesanto (nota come Chiesa degli Artisti), a Piazza del Popolo in Roma i funerali dell’étoile Elisabetta Terabust. La camera ardente era stata allestita lo stesso giorno nei locali della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera, la stessa in cui la Terabust aveva compiuto la sua formazione, che aveva diretto per lungo tempo a partire dal 1990, e di cui è direttrice onoraria. In tantissimi hanno voluto renderle omaggio, presenti delegazioni dei Teatri di cui aveva diretto il corpo di ballo, come La Scala di Milano, il Teatro dell’Opera di Roma, Il Maggio Fiorentino e il Teatro San Carlo di Napoli, e ancora coreografi, danzatori, direttori di compagnia e personalità non appartenenti solo al mondo della danza. Ai funerali l’étoile è stata ricordata da Emanuele Burrafato, danzatore e scrittore, nonché biografo della signora Terabust. Pubblichiamo qui il suo discorso, pronunciato durante il funerale, in memoria di quella che è stata una delle più grandi, importanti e famose ballerine italiane nel mondo.

Per Elisabetta Terabust

Quando l’altro ieri mi è stato chiesto di scrivere qualcosa per la signora Terabust, ammetto di essermi sentito in difficoltà. Ho pensato: “Di che cosa posso parlare, quali parole utilizzare per ricordare in pochi minuti una personalità così affascinante, una donna talmente comunicativa, senza sminuirne il valore o senza dire nulla di banale e scontato?”. Non che mi mancassero gli argomenti, a parte l’amicizia che ci legava, io sono anche il suo biografo e quindi conosco la vita di Elisabetta, conosco i suoi gusti, le persone più importanti della sua vita, le cose che amava fare e quelle che detestava. Ma il dolore era troppo forte e non riuscivo a elaborare nulla. Allora ho iniziato a guardare un po’ di video, quelli delle varie interviste che le ho fatto durante la stesura del libro, per trovare degli spunti. E lì ho iniziato a ridere, io e la signora Terabust ci siamo sempre fatti delle gran belle risate. Perché Elisabetta era simpatica. Intelligente e simpatica. Simpatica anche quando tagliava corto, quando ad esempio la chiamavo entusiasta per dirle: “Signora ci vediamo oggi? Ci prendiamo un caffè?”. E lei mi rispondeva, “No, no, non ho voglia…”. Così, schietta, ma una schiettezza che non ti feriva, ti faceva semplicemente sorridere, perché ne apprezzavi la sincerità. Lei era sempre sincera, con tutti, a costo di apparire brusca o scontrosa, non era capace di dire bugie, ed era sincera prima di tutto con sé stessa.

Io ho sempre considerato la sua onestà un grande valore. Non dimenticherò mai quando, sempre durante la stesura del libro, avevo trovavo una recensione negativa di un suo spettacolo, le dissi che avrei voluto metterla nel volume e lei mi rispose “Assolutamente si!”. “Signora è sicura?” le chiesi, “In fondo non è necessario”. E lei mi ribattè: “È successo? E allora scrivilo, solo uno stupido può pensare che una carriera sia tutta rose e fiori. Nella danza ci sono sempre degli alti e bassi, l’importante è lavorare seriamente, perché il lavoro ripaga. Sempre”.

Ah questa danza… la vita di Elisabetta Terabust in fondo è essenzialmente la storia di una grande passione, di un grande amore, unico, totalitario, in cui ogni ballerino può riconoscersi. E lei non lo ha mai nascosto, lo ha sempre dichiarato. Perché l’amore, quello vero, ti spinge a essere migliore, a superare i tuoi limiti, a non accontentarti. Ed Elisabetta lo ha fatto, pur rimanendo sempre sé stessa. Non si è accontentata del suo posto stabile di étoile all’Opera di Roma, perché aveva bisogno di nuovi stimoli e voleva crescere; non si è accontentata del repertorio classico e non si è accontentata delle sue certezze, c’era in lei l’esigenza di andare oltre, anche se questo voleva dire attraversare momenti di profonda incertezza, quell’incertezza costruttiva però, che deriva dal sapersi mettere in discussione.

Al di là degli altissimi meriti artistici, che tutti conosciamo, e che potrei riassumere con una frase di Amedeo Amodio: “Elisabetta sapeva esprimere l’essenza della danza”, Elisabetta Terabust era una persona leale, seria, onesta, appassionata. E la passione è sicuramente stata il leit-motiv della sua vita, una passione contagiosa, come sanno bene tutte le persone che hanno avuto la fortuna di lavorare con lei. Nei lunghi anni in cui Elisabetta Terabust è stata direttrice, il suo nome è stato sinonimo di qualità. Lavorare con lei era una garanzia, e se eri un ballerino serio e motivato, non poteva capitarti fortuna più grande. La signora Terabust ti coinvolgeva con il suo entusiasmo, ti affascinava con la sua competenza, ti spronava a non accontentarti, sapeva trasmetterti il valore della qualità, perché “È la qualità che fa la differenza”, diceva, e metteva a tua disposizione insegnanti e assistenti qualificati. Aveva la straordinaria capacità di farti sentire parte di un qualcosa di veramente importante, in cui credeva e a cui dedicava tutta sé stessa. E se tu eri disposto a seguirla, alla fine della giornata, comunque fosse andata, tornavi a casa con la sensazione di aver vissuto pienamente del tuo amore per la danza.

Io ricordo ancora come fosse ieri il primo periodo di prove al Teatro San Carlo, dopo la sua nomina. In quella sala ballo si era diffuso in pochi giorni il profumo dell’arte, noi lo avvertivamo e ne eravamo tutti inebriati. La Terabust era un’artista generosa, amava profondamente i ballerini, li comprendeva, ed era anche disposta a lottare per loro, pure a dimettersi, se non venivano rispettati quelli che per lei erano i requisiti fondamentali di un lavoro serio. Sono tantissimi i giovani che lei ha aiutato e che oggi le sono riconoscenti e le prove sono le migliaia di testimonianze di affetto che in questi giorni abbiamo potuto leggere da parte di colleghi famosi e non. Io credo che sia questa la sua più grande eredità, il suo più grande insegnamento, il valore della trasmissione, della condivisione. Il mettere con tale generosità, a disposizione di tanti giovani, il frutto della sua ricerca, della sua esperienza, puntualizzando che un percorso condotto con serietà ha già un’implicita dignità che lo impregna.

In questi ultimi anni, ogni tanto si confidava e mi diceva: “La mia vita è stata talmente incentrata sulla danza, che adesso che non c’è più, a volte ho una sensazione di vuoto che mi circonda. Per fortuna so ancora entusiasmarmi come una bambina quando vedo qualcosa che mi piace: un angolo sconosciuto di Roma, un nuovo libro, un film, uno spettacolo, così come riesco anche ad annoiarmi profondamente”, aggiungeva riguardo allo spettacolo, ridendo. “E comunque”, mi ripeteva, “io sono stata veramente una donna fortunata, da piccola sognavo di fare la ballerina, volevo essere una grande ballerina, e ho lottato con tutta me stessa per raggiungere questo obiettivo, però la mia fortuna più grande sono stati i miei amici. Perché gli amori vanno e vengono, ma gli amici no, gli amici rimangono e diventano la tua famiglia”.

Ed è questa famiglia, in cui lei ha racchiuso anche me, che l’ha seguita fino all’ultimo, assistendola in una malattia che lei ha combattuto con la grinta, la determinazione e lo slancio di sempre, conquistando anche i dottori e il personale medico con cui ha avuto a che fare. Il valore e il senso dell’amicizia è l’ultimo insegnamento che la Terabust mi ha donato in questa fase finale della sua vita e per questo, il rispetto che io nutro per lei è infinito. “Com’è possibile”, mi diceva, “che dopo sedici anni ancora mi chiami Signora Terabust e non Elisabetta, certo che pure tu sei strano!”. Io non ci sono mai riuscito.

Arrivederci signora Terabust e Grazie.

Emanuele Burrafato

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