Alessandro Staiano: “La danza è sempre stata, per me, la forma d’espressione più naturale”

di Francesco Borelli
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Danzatore di punta del Teatro San Carlo di Napoli, guest richiestissimo e indiscutibile talento della danza dei nostri giorni. A che punto della tua carriera ritieni di essere?

Ricopro ruoli da primo ballerino da ben sei anni, ma una nomina ufficiale, il Teatro di San Carlo non me l’ha ancora concessa.  Se mi si domanda il motivo, non trovo alcuna risposta. In altri teatri italiani ed esteri tutto ciò non accade: una compagnia, di norma, deve avere più di un primo ballerino. Da un paio di anni, però, ho avuto l’opportunità sia di lavorare in altri teatri come guest, sia di partecipare a svariati gala internazionali e ballare al fianco delle principali stelle della danza. E questo mi rende felice.

Pur essendo enormemente soddisfatto del mio lavoro e dei risultati raggiunti, sono consapevole che nella danza non si raggiunge mai una piena soddisfazione: il che, da un certo punto di vista costituisce un bene, poiché tendi sempre a lavorare su te stesso colo solo fine di migliorare, senza adagiarti mai.  L’aspetto più complicato del nostro lavoro è, invece, riuscire a sviluppare, in egual modo, la tecnica, il virtuosismo e la precisione dell’esecuzione ballettistica e l’interpretazione e la maturità artistica. Il pubblico che esce da casa e paga un biglietto per vedere uno spettacolo ha il diritto di portare con sé, alla fine di un balletto, non solo la bellezza estetica propria e insita nella danza, ma anche un’emozione. Ciò fa si che, ogni giorno, sia spinto dal desiderio di migliorarmi e dalla consapevolezza non aver ancora fatto abbastanza.

La tua è una famiglia in cui la danza si è respirata sin dai tuoi primi anni. La carriera che hai intrapreso è stata una scelta obbligata?

Indubbiamente la danza ha sempre fatto parte della mia vita: sono cresciuto nella scuola di ballo dei miei genitori e con un padre già danzatore del Teatro di San Carlo. Ma non c’è stata alcuna pressione. La danza è sempre stata, sin da bimbo, la forma di espressione, per me, più naturale.

Che cosa sognavi da bambino?

Di diventare uno scrittore

Ricordi gli anni della scuola?

Ricordo i primi anni trascorsi nella scuola dei miei genitori, la severità di mio padre e il suo supporto che ancora oggi mi è di grandissimo aiuto. Poi la scuola di ballo del San Carlo, la direzione di Anna Razzi, il tanto lavoro. Anni fondamentali durante i quali ho capito il senso profondo di questo lavoro, l’importanza della dedizione e infine, il valore e l’importanza dei sacrifici.

La vita è l’arte degli incontri. C’è qualcuno cui devi dire grazie?

Sono tante le persone che, nel corso del tempo, hanno creduto nelle mie potenzialità affidandomi ruoli impegnativi. Penso ad Anna Razzi, ad Alessandra Panzavolta, Lienz Chang, Luigi Bonino, e oggi Giuseppe Picone, attuale Direttore del corpo di ballo. Ma il mio grazie più grande è certamente per i miei genitori: Non mi hanno mai ostacolato, concedendomi la libertà di formare il mio carattere dando forma “a me stesso” nell’assoluta libertà.

Oggi sei uno dei danzatori di punta del lirico napoletano. Un teatro che, da un punto di vista ballettistico, ha avuto un grande rilancio con l’arrivo di Giuseppe Picone. Che cos’è cambiato?

Siamo una compagnia in crescita composta di molti giovani bravi e con tanta voglia di fare. Giuseppe Picone, grazie all’esperienza accumulata nel tempo, ha regalato al ballo una crescita che mancava da tempo: sono aumentate le produzioni e i tour all’estero, molti talenti sono stati messi in risalto e i grandi nomi della danza sono felici di venire come ospiti nel nostro teatro. La strada da percorrere è ancora lunga, e oltre a un Direttore capace e talentuoso è necessario il sostegno dell’amministrazione.

L’Italia è un paese in cui la danza soffre. La cenerentola delle arti è spesso bistrattata e gode, certamente, di poca tutela. Perché?

Non voglio parlare degli aspetti politici né delle evidenti mancanze delle istituzioni, che hanno portato alla chiusura di tanti corpi di ballo del nostro paese. Ciò che mi preme sottolineare è che la danza non è un’arte facilmente divulgabile attraverso i mass media e soprattutto non può essere decontestualizzata. Il pubblico deve entrare in teatro e il teatro, dal canto suo, deve essere attivo nella promozione dei balletti.

Nella tua brevissima ma intensa carriera si sono susseguite molteplici straordinarie occasioni. Tra le altre un’audizione all’Operà di Parigi che ebbe esito positivo. Perché scegliesti di rimanere a Napoli?

Amo profondamente il mio teatro e amo Napoli.  Spero, con tutto il cuore, che nel tempo le cose cambino.

Determinazione, volontà, impegno, dedizione, doti e talento. Un mix di qualità necessarie per la realizzazione artistica di un danzatore. In quale ordine metti questi elementi?

Non c’è un ordine preciso. Son tutte qualità indispensabili. Ciò che conta è che ciascuna di esse sia guidata da una grande passione.

Plauso del pubblico, plauso della critica. A che cosa tieni di più?

La critica ha il suo peso, ma è al pubblico che mi rivolgo, ed è dal pubblico che attendo l’applauso.

Fisico e tecnica irreprensibili. Poi grande versatilità: sai essere principe e guerriero e sempre con grande credibilità. Come unisci il virtuosismo all’interpretazione?

Cerco di entrare nel personaggio, studiando il ruolo e il contesto in cui si muove, proprio come farebbe un attore. La tecnica poi accompagna il personaggio in maniera differente: con eleganza in certi casi, con forza e vigore in altri.

“Vissi d’arte e d’amore”. Nella tua esperienza carriera e vita privata si sono felicemente incontrate. Quanto è bello e quanto è difficile coniugare i due aspetti?

Tre anni fa Anna Chiara Amirante è diventata la mia compagna, e da allora abbiamo cominciato un percorso in cui ci sosteniamo a vicenda. Spesso capita di interpretare insieme i ruoli principali di un balletto ed è naturale, per noi, portare il feeling che ci lega nella vita anche sul palcoscenico.  Lavorando nello stesso ambito si comprendono le comuni esigenze, ma bisogna fare attenzione, una volta usciti dal teatro, a staccare la spina, e vivere la vita vera.

Napoli, Roma e Milano. Tre poli importanti per la danza del nostro paese. Quali le differenze e quali in punti in comune?

Tre grandi enti lirici, bacini di arte e cultura. Purtroppo le sovvenzioni per uno sviluppo egualitario non sono le stesse.

Se dovessi definirti come ballerino, quali parole utilizzeresti?

Mi piacerebbe essere un danzatore versatile in grado di interpretare in egual modo ruoli molto differenti tra loro. Ma lascio al pubblico le definizioni: la danza, come ogni arte, è legata a un gusto personale e soggettivo. E le persone che assistono a un balletto hanno percezioni differenti degli artisti e dello spettacolo cui assistono.

“Nella danza non esiste la parola sacrificio ma scelta”. Così ha detto Anna Maria Prina. Sei d’accordo?

Certo, se la scelta presuppone la volontà di affrontare i sacrifici che la danza comporta. Dipende da come tu sei e da come affronti le situazioni.

Qual è stata, per te, la grande occasione?

Non mi è possibile, adesso, rispondere a questa domanda. Mi attendono ancora mille e mille esperienze.

Immagina di pensare a te fra trent’anni. Dove e come ti vedi?

Preferisco pensare a che cosa succederà domani, senza fare progetti a lungo termine. La vita, si sa, è un caleidoscopio di accadimenti ed emozioni. Ed io mi adeguo a essa..!

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