Qualche giorno fa mi soffermo a leggere un post su Facebook di Giuseppe Picone, già étoile internazionale, coreografo e Direttore Artistico del Corpo di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli, che dopo aver confessato la stima per il tennista italiano Jannik Sinner lamenta l’esaltazione e lo stupore di certe testate nazionali per la mano del campione, evidentemente anomala per il lavoro manuale intenso.
Allora, il danzatore indugia sui piedi dei ballerini e soprattutto delle ballerine che indossano le scarpette da punta, pure deformati per il carico di peso e lavoro che devono sostenere, senza però suscitare lo scalpore di nessuno. Infine, Picone cita altri mestieri usuranti denunciando il divario di compenso tra questi e un tennista.
Scelgo di curiosare tra i commenti, ahimè: mani che applaudono come consenso, vanificazioni di qualsiasi paragone, commiserazioni superficiali, insistenze sulla differenza remunerativa e poi la ricorrente delucidazione della danza come forma d’arte e non sport. Il commento di Raffaella Renzi, già étoile ospite presso alcune delle più importanti compagnie di balletto italiane ed europee, maître de Ballet e docente, smorza un po’ il dibattito sostenendo che i sacrifici nella vita siano altri e che il post del collega mira a “portare la danza un po’ più su….così lo ho interpretata io”. Probabilmente la danzatrice intende riferirsi a una più alta reputazione e considerazione della danza.
Qui, invece, utilizzando il post e ciò che ne ha scaturito come mero pretesto, e allontanandoci un po’ dalla realtà della discussione, vogliamo ripercorrere brevemente alcuni dei significati e delle simbologie che ammantano queste strutture anatomiche estreme dall’aspetto ambivalente ma dalla funzione centrale.
Per farlo abbandoniamoci alla memoria mitologica. Troviamo il tallone di Achille tenuto dalla madre Teti al momento dell’immersione nello Stige e dunque suo unico punto di vulnerabilità; il guizzo delle caviglie alate di Ermes; il piede gonfio di Edipo; il piede di Eracle pinzato dal granchio di Lerna; la ferita purulenta del piede di Filottete morso dal serpente sacro a Crise; il piede sinistro scalzo di Giasone, testimone del calzare lasciato in pegno negli Inferi. E ancora, il piede di Mopso, sovrano nell’arte di divinare il volo degli uccelli e morso al piede sinistro da una serpe; quello di Melampo (”piede nero”), e naturalmente i piedi di Cristo, trafitti sulla croce e asciugati dalla Maddalena. C’è una corrente simbolica che lega i piedi feriti all’ascensione, al volo degli uccelli e alla divinazione per cui l’innalzamento celeste richiede il morso inevitabile del serpente, il chiodo nel metatarso così come la parvenza del volo implica i calli e le vesciche che contraddistinguono i piedi nodosi dei danzatori che sono il contrario della leggerezza del corpo che deve essere retta e consustanziata da qualcosa di molto radicato.

Anche nell’ambito della psicoanalisi Jung associa le attività dei piedi, come calpestare e danzare, a un’evocazione della fertilità dei campi e a una ripetizione dello sgambettio nella vita intrauterina associato alla fecondazione ma anche a una sensazione di piacere. Freud al piede accorda un significato fallico sul quale concorda Jung nel Mysterium Coniunctionis. Il piede nudo flesso, che per l’autrice Elena Randi rappresenta il fallo, ritorna come un leitmotiv in Night Journey (1947) di Martha Graham il cui titolo è tratto da un’espressione proprio di Jung che in La psicologia della traslazione parla di “night sea journey” o “night journey to the sea”. Il danzatore nei panni di Edipo pianta il suo piede prima davanti agli occhi e poi sul grembo di Giocasta, della cui psiche tutto il lavoro è la rappresentazione.
Senza rimanere prigionieri della mitologia o del letteralismo psicologico e dei suoi simboli sessuali ci limitiamo a constatare quando l’uso, o meglio l’abuso dei piedi, e il loro distacco da terra, crei uno spazio sufficientemente enigmatico da armonizzare mondi lontanissimi di cui queste estremità ne conservano la memoria assieme agli esercizi, agli sforzi, al peso e alla gravità delle ripetizioni dei danzatori.
Foto del piede di Sylvie Guillem by Gilles Tapie

