Dietro le quinte dei Trockadero con Alberto Pretto

di Giada Feraudo
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I Trockadero sono una compagnia assolutamente unica al mondo nel genere, ma al di là della facciata divertente che il pubblico ama così tanto, che cosa vuol dire farne parte?

Vuol dire innanzitutto essere sempre in viaggio, con la valigia sempre pronta, e vivere un po’ come dei nomadi. Noi viviamo come se fossimo una grande famiglia, sia perché stiamo insieme ventiquattro ore su ventiquattro, sia perché molto spesso, essendo pochi ballerini (siamo solo sedici), dobbiamo essere molto flessibili nel rimpiazzare uno o l’altro, siamo tutti sostituibili. Siamo una compagnia che lavora moltissimo se ne sei parte devi essere disposto a ballare un sacco: personalmente non ho ballato mai così tanto in nessun’altra compagnia. È divertente essere parte dei Trockadero, il pubblico risponde molto bene e ci fa sentire speciali perché non siamo parte di un corpo di ballo, ognuno di noi ha i suoi fan, è molto divertente, una bella esperienza da questo punto di vista.

È un impegno importante anche a livello di spostamenti perché fate molte tournée. Quali sono le piazze in cui siete più richiesti? In Italia siete ospiti molto spesso.

In Italia veniamo tanto, due o tre volte all’anno. Insieme a questo ogni anno abbiamo un tour fisso negli Stati Uniti, anche se di anno in anno cambiano le città in cui ci esibiamo. In passato c’era ogni anno una tournée in Giappone in estate, adesso è ogni due anni. Il 2015 è l’anno in cui cade la tournée. E poi tutti gli anni, verso dicembre o gennaio, abbiamo la nostra stagione fissa al Joyce Theatre di New York.

I vostri pezzi forti sono soprattutto le parodizzazioni, costruite ad arte, del repertorio classico e dei balletti del Novecento: avete coreografi che “arrangiano” per voi le coreografie originali?

Attualmente non abbiamo coreografi nuovi ma ovviamente, quando hanno cominciato a creare questi balletti per la compagnia, ci sono stati dei coreografi: ad esempio Go for Barocco, ovvero Concerto Barocco, è stato montato da Peter Anastos. Noi lavoriamo molto con Elena Kunikova, un’insegnante russa che ha rimontato molti balletti del nostro repertorio, come ad esempio Paquita. C’è sempre qualcuno che ci rimonta i balletti. L’ultimo che abbiamo fatto, Naiade The Fisherman, l’ha rimontato Raffaele Morra, che è il nostro maître de ballet.

Ci sono coreografie create appositamente ex novo per i Trock?

È successo, per me, con la coreografia di Fabio Crestale, che mi ha creato su misura un pezzo dal titolo Scarpette Rosse, ispirato all’omonimo film degli anni Cinquanta. A volte succede che vengano create delle coreografie speciali per la compagnia.

Avete solo maîtres de ballet interni o anche ospiti?

La compagnia è basata a New York ma non abbiamo una sede fissa, quindi facciamo prove in diversi luoghi e nelle settimane di prove c’è sempre un insegnante diverso. Abbiamo la nostra insegnante, Ludmila Raianova, russa perché noi in quanto compagnia ci rifacciamo molto alla tecnica e allo stile russi degli anni Settanta e Ottanta, ma abbiamo avuto anche tanti maestri  ospiti, che sono venuti a seguirci. Adesso ad esempio, siccome stiamo preparando il pas de six da Napoli, stiamo facendo lezioni con questa insegnate che si chiama Karina Helver, ex ballerina del balletto danese: chi meglio di lei avrebbe potuto prepararci per la tecnica Bournonville?

Fra questi maîtres invitati ci sono anche ex ballerini della compagnia?

Attualmente il nostro maître de ballet, insieme a Raffaele, è Paul Ginslin, un ballerino della compagnia (quello che fa la Morte del cigno, per intenderci). Ci sono persone interne ma anche altre esterne.

Tutti i danzatori della compagnia hanno nomi d’arte che richiamano, per assonanza, quelli delle grandi dive del balletto: li scegliete voi o ve li propongono?

I nomi vengono assegnati dal direttore nel momento in cui si entra a far parte della compagnia. Sono molto simpatici, ognuno è diverso. Molto spesso hanno più senso in inglese, ad esempio Dumbchenko, come si chiama Raffaele: dumb vuol dire stupida, un po’ tonta.  Io mi chiamo Nina Immobilashvili,: una ballerina immobile è un’immagine un po’ assurda, ridicola, e si rifà a Nina Ananiashvili, la ballerina georgiana famosa per essere stata parte dell’ABT (American Ballet Theatre, ndr) per molto tempo. Sono tutti nomi altisonanti, che sembrano nomi russi perché noi ci rifacciamo ai Ballet Russes di Montecarlo: all’epoca essere russo era motivo di prestigio per un ballerino, e chi non lo era cambiava nome, ecco perché i nostri sono tutti nomi d’arte che “suonano” russo.

Curiosiamo un po’ nel backstage: provvedete da soli a trucco e parrucco?

Assolutamente sì. Anche quando siamo nei grandi teatri. Ognuno di noi ha imparato a farsi il trucco da solo. È un po’ impegnativo, soprattutto per i nuovi arrivati: non abbiamo corsi specifici, però noi siamo molto uniti e ci aiutiamo tra di noi, alcuni sono più bravi e danno una mano agli altri. Prima dello spettacolo abbiamo sempre almeno un’ora, un’ora e mezza per prepararci perché il nostro trucco è molto impegnativo: devi coprire le sopracciglia, disegnarle più alte, più basse o più drammatiche a seconda di quello che devi interpretare, devi mettere le ciglia finte, un bel po’ di fondotinta, grandi labbra rosse, che sono il tratto distintivo dei Trockadero, poi la parrucca, generalmente con lo chignon basso … insomma, è un bel lavoro!

Le vostre scarpe da punta hanno dimensioni un po’ fuori dalla norma: sono fatte su misura?

La marca di scarpe più usata in compagnia è Gaynor Minden perché sono fatte a New York, è più facile reperirle, e poi perché ordinando dei numeri particolarmente grandi ci va di solito molto tempo per averle, mentre così facendo si riducono tempi e costi. Non tutti usano le Gaynor ma ci sono alcune marche che sono proprio fuori discussione, ad esempio le Freed: con il peso di un corpo maschile sopra un paio di Freed, che sono delle punte bellissime ma non troppo longeve, forse riusciremmo a fare un échappé e poi le sfonderemmo. Ci sono alcuni ragazzi che hanno un piede talmente grande che non entra nemmeno nell’ultimo numero delle Gaynor: loro usano Bloch o Sansha. Quando hai un 48 di piede devi per forza avere una scarpa fatta su misura, ma per gli altri non è così difficile trovare le punte giuste.

Adesso parliamo un po’ di te: quando ti è venuto il desiderio di far parte dei Trockadero e come l’hai realizzato?

Io facevo parte di una compagnia a Koblenz, in Germania, la compagnia statale della città. Sono stato due anni in  quella compagnia, dopo essermi diplomato a Montecarlo e dopo aver fatto altre esperienze con l’English National Ballet. In questa compagnia non mi sentivo veramente stimolato a crescere, non mi sentivo artisticamente realizzato perché si facevano sempre balletti non virtuosistici, e poi perché, essendo un maschio, dovevo sempre stare dietro a sollevare la ballerina, che era il vero fulcro dell’attenzione. Ho capito che avevo bisogno di qualcosa di nuovo, di diverso, e che volevo ballare di più perché secondo me non stavo ballando abbastanza. Ho cominciato allora a pensare a cosa mi sarebbe piaciuto: io ho sempre avuto la passione per le punte, anche se non le avevo mai potute mettere perché di solito i ballerini maschi non danzano in punta, anche se io ho sempre fatto, ad esempio, la sbarra con le punte perché mi piaceva. Mi sono quindi chiesto perché non provare con i Trockadero. In quel momento loro erano in tournée a Piacenza, io li ho raggiunti e ho fatto l’audizione, facendo una lezione con la compagnia. Sono piaciuto al direttore ma al momento non c’erano contratti disponibili, quindi ho continuato a Koblenz fino a che non mi hanno chiamato dicendomi che avevano un posto vacante per me ed ecco che è cominciata la mia avventura con i Trockadero.

Spesso sei invitato come ospite per danzare in altre produzioni o con altre compagnie, come è successo recentemente con “I funamboli” di Fabio Crestale, in cui hai danzato, appunto la coreografia Scarpette Rosse.

Ho avuto in passato diverse collaborazioni, ad esempio con Mauro de Candia, che ha fatto un gala a Barletta: in quell’occasione presentai La Morte del Cigno. Danzare con Fabio Crestale è stata poi un’esperienza magnifica, innanzitutto perché le persone che facevano parte de I Funamboli erano alcuni ballerini dell’Opéra di Parigi (Alessio Carbone ad esempio, ndr); c’era inoltre la musica dal vivo, eseguita da musicisti sempre dell’Opéra, e poi la coreografia, Scarpette Rosse, è stata creata su di me, proprio su misura, quindi mi sono divertito molto. Ho inoltre potuto danzare questo pezzo al gala in onore di Marika Besobrasova, a Firenze, in occasione degli esami annuali della scuola di danza, insieme ad altri nomi eccezionali della danza. È sempre un’emozione poter fare queste cose.

Oltre al lavoro di ballerino hai molti altri interessi, tra cui un’ammirazione sconfinata per la Zakharova.

Sì, è stato un amore che è nato tanti anni fa, quando ero ancora allievo a Montecarlo. Con un’amica andavamo in macchina a Milano per vederla, quando era appena stata nominata étoile, forse era nel 2005-2006. Lei ovviamente all’epoca non sapeva chi fossi io. Ho cominciato a seguirla e poi, grazie al fatto che lei ha iniziato a fare il gala Zakharova and friends, di cui io conoscevo gli organizzatori, sono riuscito a infilarmi nel backstage. Ogni volta le portavo qualcosa: io disegno e le ho fatto dei ritratti. Una volta le feci un acquerello, un’altra volta un acrilico con lei che danzava Il Lago. Le sono piaciuti molto e quando l’ho incontrata le ho detto che ballavo per i Trockadero e come mi chiamavo. L’ho incontrata ancora a Parigi, quando ha fatto La Bella Addormentata, e lei si è ricordata del mio nome e mi ha subito salutato. L’ho trovata una persona molto gentile perché dopo essersi data sul palco in uno spettacolo dalla qualità incredibile ha trovato ancora il tempo e l’energia per incontrare i suoi fan. Per me è un idolo ed è una grande soddisfazione sapere che una persona che ammiro profondamente mi conosca e mi apprezzi. Non smetterò mai di seguirla.

Tu disegni anche molto bene, i tuoi bozzetti sono molto belli, e dato che ti seguo sui social ho visto dalle foto che hai fatto una linea di magliette.

Mi piace molto disegnare ballerine: quando ho cominciato facevo le magliette dipingendo le ballerine direttamente sulla stoffa. Poi però con il tempo e con i lavaggi le magliette tendevano a scolorirsi, quindi adesso le faccio stampare. Recentemente ho fatto le magliette di Misty Copeland, la ballerina dell’ABT, e quando lei le ha indossate, pubblicando la foto su Instagram, le vendite hanno registrato un boom. Le magliette che vendo di più sono proprio quelle di Misty, ma ho una linea che si ispira alle diverse ballerine: ci sono Svetlana, Misty, appunto, Irina Dvorovenko e altre.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Tempo permettendo vorrei concentrarmi di più sulla mia linea di abbigliamento: mi piace molto, mi piace cucire, anche se ho appena cominciato e ho ancora moltissimo da imparare, come nella danza, dove non si è mai arrivati. Il mondo dei costumi mi ha sempre affascinato, quindi magari un giorno, chissà, non sarebbe una brutta idea specializzarsi in costumi per la danza. Dal punto di vista della danza invece mi vedo con i Trockadero ancora per un bel po’ anche perché quest’anno mi sono state date molte occasioni e tutto ciò è molto bello ed eccitante, non vedo l’ora di affrontare altri ruoli sempre più impegnativi.

Crediti fotografici: Pieluigi Abbondanza, Lucia della Guardia, Ihaia Miller

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