Torna Lia Courrier e ci parla dei maestri: qual è il confine tra la severità e l’aggressività?

di Lia Courrier
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L’anno scorso è uscito nelle sale un film dal titolo “Wiplash”, che racconta la storia di un giovane promettente batterista, Andrew, e del suo incontro con un maestro che, anziché essergli mentore, diventa il suo peggiore incubo, a causa dei suoi modi non proprio gentili per spronare i ragazzi a dare il massimo. Terence Fletcher, questo è il suo nome, è famoso per dirigere un’orchestra che non sgarra mai neanche di una nota, e sbatte fuori senza troppi complimenti chiunque offenda il suo orecchio assoluto. Vuole il meglio. A qualunque costo. Attraverso sottili e logoranti strategie Fletcher trascina Andrew in una altalena emotiva fatta di approvazioni solenni e successive ritrattazioni, beceri ricatti morali che effettivamente sembrano riuscire a tirargli fuori il meglio, al punto che ormai non ha più vita se non per studiare e suonare la batteria fino a ferirsi le mani.

Ma a quale prezzo?

Si viene poi a sapere che un ex allievo di Fletcher si è tolto la vita, in seguito alle sue reiterate pressioni psicologiche, mentre Andrew decide di appendere le bacchette al chiodo e smettere di suonare. Il film poi prende il volo in un finale che non voglio svelare, ma vi consiglio di guardarlo perché apre delle riflessioni interessanti sulla didattica.

Nel mio cammino, e credo anche in quello di molti di voi, è capitato di incontrare qualche Mr. Fletcher, insegnanti che giustificano i propri modi rudi e aggressivi, ritenendoli necessari per sviluppare i talenti e le potenzialità dei propri allievi, applicando questo metodo in modo arbitrario e indifferenziato con chiunque gli capiti a tiro. Questo vuol dire titillare costantemente le corde di una delle paure più antiche che l’essere umano possa avere da quando ha sviluppato le zone più recenti del cervello: la paura atavica di essere umiliati. La mortificazione della persona è quello che più spesso ho sentito sulla mia pelle, quando mi ritrovavo nelle classi di questi insegnanti, ed è lo stesso tipo di sensazione che mi arriva dai racconti di molti danzatori alla ricerca di stabilire un equilibrio interiore, in seguito a questi incontri. Queste umiliazioni vengono messe in atto quando l’insegnante è in grado di trovare il momento perfetto per dirti, in modo crudo e diretto, davanti a tutta la classe e andando preferibilmente a scavare proprio dove sei più vulnerabile, qualcosa che possa ferirti, con l’obiettivo di scatenare una ipotetica reazione d’orgoglio per cui darai fondo a tutta la tua energia, per dimostrargli che si sbagliava. Sono in gioco il timore di cadere, la sfida con il maestro, la disistima nei confronti di colui che dovrebbe essere la tua guida e che invece diventa un carnefice e, non per ultima, una massiccia dose di frustrazione.

Quello che io mi chiedo è: se uccidiamo l’Uomo che c’è dietro all’Artista, cosa rimane?

Sono consapevole che una certa severità sia necessaria per formare un danzatore, ma per esercitarla un insegnante non dovrebbe mai umiliare o essere irrispettoso della persona che ha di fronte, perché gli allievi prima di tutto sono esseri umani, con il loro carattere, i talenti, le debolezze e i punti di forza, e solo quando avremo osservato tutto questo, potremo capire qual è lo spazio che quella persona in particolare ci permette di utilizzare. Ogni allievo è un progetto a sé, perché ognuno di loro è unico: è una storia di sensibilità e di ascolto, non di prevaricazione.

Negli anni ho imparato, a mie spese, che bisogna mettere il proprio ego da parte quando si copre il ruolo dell’insegnante, bisogna aprirsi all’altro senza giudizio né aspettativa, senza permettere che gli allievi debbano farsi carico delle nostre ambizioni, proprio perché sono nostre e non loro. Faccio un esempio pratico: a volte capita che un moto di stizza si presenti in noi quando un allievo non si impegna abbastanza, fa molte assenze, o studia buttando via le proprie doti, ma quella stizza esiste solo come reazione alla delusione delle NOSTRE aspettative su di lui o su di lei. Spesso non teniamo conto che, forse, quella persona ha un progetto di vita differente da quello che noi abbiamo pensato per lei, e dobbiamo rispettare questo progetto anche se non appaga i nostri desideri, non è questo che conta. Ecco perché secondo me umiliare, arrabbiarsi, punire e urlare contro gli allievi non ha alcun effetto positivo, ma al contrario soltanto molti negativi, dal momento che questi assalti irrompono con arroganza, invadendo la sfera dell’intimità della persona e facendola spesso allontanare da ciò che fino a qualche tempo prima amava, o quantomeno inibendo la sua capacità di esprimersi attraverso la danza. Anche nel caso si riuscisse a fare migliorare l’allievo, in seguito a questo genere di violenza psicologica, sarà comunque a favore di una danza di rabbia, dettata dal bisogno di dimostrare a qualcun altro di potercela fare, e non invece una danza che scaturisce dall’amore e dalla gioia di muoversi. Le persone che sono state a lungo seguite da insegnanti molto ‘autoritari’ sono spesso insicure, non riescono a vedere ciò che di bello c’è in loro e nella loro danza, e per me QUESTA è la vera occasione mancata.

Da anni ormai mi dedico all’insegnamento dell’amore verso la danza e verso sé stessi prima ancora di cominciare ad insegnare i principi del movimento, e posso dire di aver riscontrato degli enormi progressi nella qualità del lavoro di coloro che ritrovano la fiducia nel proprio corpo e nelle proprie capacità. Mi dispiace molto per tutti gli allievi che ho incontrato nei miei primi anni di insegnamento, che forse non hanno sempre ricevuto da parte mia il sostegno che avrebbero desiderato. Purtroppo ero ancora dentro a vecchi schemi, non ero in grado di gestire il mio ruolo con la giusta presenza e un’adeguata predisposizione del cuore.

Nella medicina tradizionale cinese il cuore è un organo importantissimo, possiamo immaginarlo come una coppa, che però deve rimanere sempre vuota, un recipiente dentro al quale tutto scorre senza mai fermarsi, perché se qualcosa vi ristagna dentro, un’emozione per esempio, noi vedremo il mondo attraverso quella lente e non riusciremo più a vedere la realtà.

La danza nasce proprio dallo spazio del cuore, ma se la frustrazione, la rabbia e l’umiliazione vi ristagnano dentro per troppo tempo, cosa esprimerà il nostro movimento?

Potremo ancora vedere l’essere umano dietro all’artista?

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