“La Vedova Allegra”: Hugo De Ana firma un omaggio al grande cinema e ai suoi divi.

di Giada Feraudo
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è in scena in questi giorni a Torino (con repliche fino al 6 luglio) “La Vedova Allegra”, titolo conclusivo della stagione d’opera e di balletto del Teatro Regio. La produzione porta la firma dell’argentino Hugo De Ana, uno dei registi più conosciuti della scena operistica internazionale, che di questa Vedova ha ideato anche i costumi e le scenografie.

Fin dalle prime note dell’ouverture il pubblico è proiettato nello spazio di un set cinematografico, dal sapore un po’ retrò, rappresentato dalla costante presenza in scena di una macchina da presa. Prima dell’alzata definitiva del sipario scorrono, in semitrasparenza e rigorosamente in bianco e nero, i volti e i nomi degli interpreti dell’operetta, che ricordano i titoli di coda di un film, e sequenze di pellicole degli anni Trenta e Quaranta che propongono immagini di ballerine di can can, di un’orchestra, della Parigi della Belle Epoque rappresentata dai suoi simboli più conosciuti, come l’Opéra e la Tour Eiffel, e tra i quali compare, volteggiando come una visione, una meravigliosa Rita Hayworth. Il cinema ispira fortemente il regista e le citazioni sono numerosissime anche in seguito: come non riconoscere Charlie Chaplin in Kromow, uno dei tre fratelli Marx, dotato di bombetta e di baffetti? E che dire dell’inconfondibile immagine di Marilyn, immediatamente identificabile nel personaggio di Hanna Glavari, che, per meglio emulare la grande diva hollywoodiana, indossa una biondissima parrucca e la cui prima entrata in scena (complici anche il taglio dell’abito e gli uomini, vestiti in frac e con un cuore rosso che fa capolino dalla tasca del panciotto) non può non richiamare alla mente di qualunque spettatore la scena del celeberrimo film “Gli uomini preferiscono le bionde?” Il personaggio di Marylin si moltiplica anche nella figura delle ballerine, che nel secondo atto indossano anch’esse parrucche biondo platino, particolarmente efficaci nella spiritosa coreografia sulle note di “è scabroso le donne studiar”, in cui le ragazze, vestite da boxeuses, con tanto di guantoni, trasformano il palcoscenico in un enorme ring, bersagliando i malcapitati uomini.

Le coreografie sono di Leda Lojodice, che da anni collabora con Hugo De Ana, e riflettono alla perfezione l’idea registica di scomposizione e frammentazione. Questo concetto, evidente anche nell’allestimento della scenografia, costituita da strutture praticabili girevoli con porte interne ed esterne comunicanti e trasparenti, e arricchita da specchi e superfici riflettenti che moltiplicano le immagini all’infinito, si traduce, a livello coreografico, in una danza discontinua, che non fa muovere i ballerini tutti insieme come se fossero un corpo di ballo (del resto, non bisogna dimenticare che non stiamo parlando di un balletto), bensì li integra pienamente nello spazio scenico e scenografico, facendoli danzare molto spesso tra i cantanti, ognuno con direzioni e sequenze di passi differenti. L’impronta del musical americano è evidente. E’ richiamata dall’abbigliamento degli uomini, ballerini ma anche coristi, ovvero frac, cilindro e bastone, così come dalle sequenze danzate, soprattutto nel primo e secondo atto, semplici ma d’impatto. Completamente diverso è il terzo atto, ambientato  Chez Maxim’s, che si apre con una festa di tip tap, specchi e musica e che, sulle note di “Stanotte faccio il parigin”, in un trionfo di piume e lustrini, mette in scena le sei ballerine in abiti da Bluebells, momento di sicuro effetto scenico, che evoca le atmosfere del celebre Lido parisien. Divertente e kitsch l’uscita delle grisettes: sensuali e ammiccanti le ballerine, esuberanti i danzatori, vestiti con camicie a volants colorati e cappellini multifrutti, che si esibiscono in un carnevalesco pout pourri di stili. L’immancabile can can finale, estratto dal celebre Orphée aux Enfers di Offenbach, vede i ballerini protagonisti assoluti della scena. Privo di particolari virtuosismi, soprattutto dal c^oté femminile, ma pur sempre molto piacevole, è comunque estremamente apprezzato dal pubblico, a cui strappa numerosi applausi a ogni recita.

 

Le atmosfere decadenti, rappresentate, nel terzo atto, da un pianoforte sullo sfondo, da una fisarmonica e dalla presenza di elementi scenografici che rievocano il liberty, contrastano fortemente con i colori dei costumi, con la sovrabbondanza e con la trasgressività (o rivoluzione, come si canta nel carosello finale) degli ambienti e dei personaggi. Il finale è un’autentica esplosione di nastri luccicanti e coriandoli che invadono il palcoscenico e che, per concludere coerentemente, rievocano nella memoria dei più raffinati intenditori del genere, la scena della festa del celeberrimo film Gilda, interpretato, inutile dirlo, dalla volteggiante Rita Hayworth dell’inizio.

Fotografie: Ramella&Giannese

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