Matteo Levaggi: la punta della danza contemporanea nel mondo.

di Miki Olivieri
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Caro Matteo, tu sei un artista che apprezziamo come ballerino e coreografo. Quale di queste attività ti dà maggior soddisfazione?

Penso di essere nato principalmente con la passione per la coreografia. Danzare per me è sempre stato un momento di gioia e dolore. C’era il talento, ero apprezzato, ma non ho mai sentito davvero in me la volontà di danzare, di lavorare in una compagnia di danza. Quella di creare sugli altri invece sì. Ho scoperto che creo su altri danzatori cose che non potrei mai danzare io stesso. Penso sia un bene. Mantenere un certo distacco dal proprio modo di muoversi fa sì che ci si debba inoltrare in strade sempre differenti.

Quando un ballerino decide di passare “dall’altra parte della sbarra” e diventare coreografo? Bisogna avere delle caratteristiche particolari per fare questa scelta?

Per mia esperienza, coreografo lo si è sin dall’inizio dalla nascita. Può capitare di “scoprirsi” più tardi, coreografo, come anche si scopre tardi di essere danzatori. Credo che una forte attenzione verso ciò che ci circonda sia fondamentale per un coreografo. Cercare di non rimanere con lo sguardo vuoto sul vetro, ma cominciare a focalizzare cosa appare sul vetro e poi vedere cosa vi è oltre.

Cosa pensi dei talent-show che in tv lanciano in brevissimo tempo promesse della danza?

Li ho seguiti in passato. La mia esperienza principale in TV è stata nel 1999 con il sabato sera di Raffaella Carrà. Avevo il mio spazio per danzare. Oggi si vedono tanti talenti che piano piano invece di crescere, perdono la forma fisica, e questo in età così giovane non va bene, è l’età in cui si dovrebbe dare il massimo, vero è purtroppo che il lavoro scarseggia, dunque può essere un’esperienza certamente interessante.

Da poco tempo è stata annunciata la fine del tuo rapporto con il BTT, voglia di nuovi stimoli?

Naturalmente. In 22 anni al BTT credo ci sia stato uno scambio creativo davvero forte, prima come allievo, poi come danzatore e dopo come coreografo. Sono stato fortunato ad avere una compagnia a mia completa disposizione, ma oggi la mia idea di danza ha bisogno di nutrirsi in modo differente, tutto è cambiato, il concetto di come vive una compagnia è cambiato, ammesso che questa debba esistere. Dunque quando si ha un’idea ben precisa, è difficile che qualcuno ti faccia cambiare strada.

Matteo, a quale tua coreografia creata per il BTT sei rimasto più affezionato?

Indubbiamente Primo Toccare (inizio della mia fortunata collaborazione con Corpicrudi). è il lavoro ad oggi più completo, sul quale salirò per guardare avanti. I vecchi lavori li ricordo appena. Ho provato un’emozione forte con Caravaggio, nel rimetterlo in scena a Los Angeles, per la LA Contemporary Dance Company, su danzatori completamente differenti dal quelli del BTT, con un risultato sorprendente.

Vedendo i lavori svolti precedentemente con il BTT, il livello professionale è molto alto, quanta formazione e impegno hanno richiesto ai componenti del gruppo?

Non si finisce mai di essere bravi né per se stessi né per agli altri. Ovvio, bisogna poi vedere cosa si cerca in un danzatore. Su questo vi sono varie correnti di pensiero. Personalmente mi concentro nel capire se i miei danzatori toccano con mano sicura, mentalmente, il mio lavoro, a prescindere dalla posa, dall’esecuzione che esigo “sporca”, viva, in continuo cambiamento. Ci sono sere che la compagnia è stanca, e tutto cambia. Questo per me è la danza! Non inoltrarsi in “orpelli” che fanno gola, ma che finiscono per essere noiosi per chi guarda e per chi esegue.

Ricordo che quando danzavo, entrare in scena era una ribellione! Oggi i giovani danzatori sono meno predisposti a rompere le regole, sono perfetti magari, ma nella maggioranza dei casi manca la consapevolezza di essere danzatori, coloro che prendono una danza e la portano ai piani più alti, con personalità e un taglio innovativo, capace di fare crescere anche il coreografo. Forse è per questo che nell’imperfezione i coreografi, oggi, trovano l’ispirazione.

Il tuo prossimo lavoro sarà ispirato all’incontro tra Dante e Beatrice, “Beata Beatrix”… a che punto sei con la creazione e perché ti sei ispirato al sommo poeta?

La creazione nasce dal progetto Vita Nova strutturato da Corpicrudi e ispirato all’opera in prosa e poesia di Dante Alighieri basata sulla figura dell’amata Beatrice, e le illustrazioni del pittore e poeta Dante Gabriel Rossetti che per primo ne effettuò la traduzione in inglese. Si tratta fondamentalmente di un duo di 50 minuti, in cui la pura danza riflette, attraverso piccoli dettagli la poetica dell’incontro tra Dante e Beatrice. Il lavoro si sviluppa tra Italia, Svizzera e Stati Uniti.

Con il regista Davide Ferrario hai in lavorazione la trasposizione sul grande schermo di uno dei tuoi lavori più celebri, SEXXX… come sarà strutturato questo incontro tra cinema e danza?

Si tratta di una domanda che mi sono posto anch’io. Vedendo il montato del balletto mi sono reso conto che Davide ha restituito allo spettatore uno sguardo che forse mi appartiene di più, creando, senza dialoghi una comunicazione diretta. Ho molta fiducia in questo progetto che credo arrivi in un momento importante, di svolta.

Dedicarsi alla danza è estremamente affascinante, ma anche molto faticoso, maggiormente quando lo si fa a livello professionale. A te cosa ha dato e cosa ha tolto la danza?

Nella vita qualcosa sfugge e qualcosa arriva, come nella danza. Basta avere pazienza, studiare, essere pronti, e non rinunciare alle proprie idee, anche quando appaiono estreme. Non credo tuttavia che sia un mestiere faticoso. Si deve vivere nella realtà. Danzare, avere la possibilità di farlo, a mio parere è sempre stato un privilegio, che costa fatica fisica, un certo sforzo intellettuale, ma che non è paragonabile ad altre categorie lavorative, in cui magari le persone non ricevono nemmeno la soddisfazione di un applauso.

Sono moltissimi i giovani che amano la danza, ma non tutti possono essere dotati di talento. Credi che sia giusto incoraggiare tutti a danzare, indipendentemente dalle qualità e dal talento?

Credo che sia giusto fino ad un certo punto. Se la danza diventa un “buco nero” in cui getti la tua vita e inizi a soffrire, a non raggiungere risultati e ad essere frustrato, bisogna smettere. Per danzare oggi oltre alla tecnica e alle doti fisiche, ci vuole una preparazione su tutta la linea che deve scaturire da dentro, quello che chiamo “ritmo interiore”, e che fa la differenza tra chi balla e chi danza ed è danzatore.

Un giovane di grande talento che incarna tutto questo è ad esempio Vito Pansini, ora solista al Bèjart Ballet. Appena uscì dalla scuola di ballo del Teatro Alla Scala, venne ad audizionare al BTT. La crescita e la maturità che ha ottenuto è impressionante, e questo il pubblico lo sente, lo vede! È un orgoglio enorme il fatto che oggi abbia iniziato una nuova strada, mettendosi in gioco.

Oggi Matteo Levaggi è uno dei nomi più importanti del panorama della danza internazionale, ma come è nata la tua passione per questa disciplina?

Credo di avere ancora molto da studiare, imparare, mettere in pratica. La passione è nata banalmente come credo per tutti noi della danza, davanti al televisore.

Lo spettacolo di danza che ricordi come il più emozionante al quale hai assistito?

Se parliamo di immersione vera durante uno spettacolo, in cui mi sono lasciato andare senza pensare, è stato ogni volta che ho assistito al lavoro di Pina Baush e Saburo Teshigawara. Oggi apprezzo molto anche il lavoro di Justin Peck.

Nel tuo repertorio, il ruolo che hai interpretato che ti emoziona in particolare?

Mi divertivo molto a danzare il mio primo lavoro, Salome, ma era un gioco, puro divertimento, che segnò il mio inizio di carriera come coreografo.

Oltre a “Beata Beatrix”, quali sono i tuoi progetti e i prossimi appuntamenti?

Ho un invito da parte di Davide Bombana per una grande creazione al maggio danza. Con Corpicrudi in ottobre sarò a Los Angeles per il debutto negli Stati Uniti alla Fashion Week di Preludio per una Sinfonia in Nero, mentre stiamo lavorando all’anteprima di Beata Beatrix, sempre a Los Angeles per il LACMA Museum con cui già collaborai due anni fa. Progetti molti, tempi difficili, ma bisogna lavorare ed essere ancora più organizzati e concentrati sul proprio ruolo.

Hai un desiderio o un sogno legato alla danza che vorresti realizzare?

La voglia di lavorare bene, come tutti, di portare avanti ciò in cui credo. Ho imparato con il tempo a stare al mio posto, con gli artisti, e a godere di questi momenti.

Quali altri coreografi della scena contemporanea apprezzi? e con quale danzatrice o danzatore ti piacerebbe lavorare?

Apprezzo molto Christopher Weeldon, per la sua onestà intellettuale nel riprendere, a modo suo, il grande lavoro svolto da George Balanchine, apprezzo moltissimo Ohad Naharin per la capacità di saper tirare fuori dai suoi danzatori cose inaspettate, ma come dicevo prima, sento molto vicina la profondità di Teshigawara. Naturalmente poi alcune esperienze forti personali, come con Karole Armitage, Mauro Bigonzetti, Luca Veggetti, grandi conoscitori della danza, capaci di farti pensare davvero all’esistenza di un’intelligenza della danza.

Cosa rappresentano le tue coreografie? Da dove nasce la tua ispirazione?

Parlano di fatti pratici della vita, sessualità, morte, solitudine, potere, in tutti i loro aspetti. Non c’è bisogno di creare delle storie, si tratta di visioni, modi di vedere e valutare uno stato d’essere.

Che opinione hai della Danza in Italia?

Penso si debbano ancora affrontare questioni concettuali molto importanti, manca il senso di praticità di cui Cunningham sempre ha parlato, che crea libertà e più creatività.

Vi sono delle realtà molto forti, come nel caso di Virgilio Sieni, in cui sento esserci gli argomenti di cui parlavo prima.

Oltre la danza, hai altre passioni?

Il cinema in tutte le sue forme mi appassiona moltissimo. Credo influisca molto nel mio lavoro, a partire da David Lynch.

Da critico di danza credo che tu abbia la giusta chiave per attrarre un pubblico giovane e che la tua forza visiva e dirompente possa riportare i ragazzi, anche giovanissimi, a teatro e ad amare la danza. Cosa ne pensi?

Lo penso, ci credo, lo vedo. Spero che anche altri lo vedano. I giovani poi sono molto critici e questo aspetto mi interessa moltissimo.

La Musica quale ruolo ha e come si combina nel tuo essere coreografo?

Quando iniziai a fare il coreografo, sperimentavo molto, a volte fino all’ultimo non sapevo cosa utilizzare, ero interessato al concetto di danza, musica e spazio di Merce Cunningham, crescendo, a parte le volte in cui è stato commissionato un lavoro, ho sempre cercato, di scovare sonorità nuove per me. Poi con il BTT abbiamo creato delle sinergie molto importanti, per esempio la musica di Caravaggio fu composta da Giovanni Sollima, e Antigone da Carlo Boccadoro. Ma anche giovani e già molto affermati compositori come Lamberto Curtoni, che creò Follia Barocca.

Per concludere, un tuo pensiero per descrivere l’essenza della Danza?

Credo che la danza, come diceva Merce Cunningham, sia qualcosa di concreto, pratico. Se si capisce questo, molti “pesi” vengono spazzati via.

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