Lia Courrier e l’importanza della ripetizione: “Fai e rifai ancora e poi ricomincia da capo.”

di Lia Courrier
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Chi si avvicina al mondo della danza spesso lo fa dopo aver vissuto un'esperienza come spettatore, cioè in seguito alla visione di quello che rappresenta solo la punta dell'iceberg di un lavoro infinito che dura una vita intera. Raramente il pubblico ha accesso a tutto ciò che accade prima della scena, anzi, trovo addirittura fuorviante quello che solitamente emerge da film e racconti che riguardano l'universo danza, a parte qualche raro caso in cui effettivamente il racconto ha una certa aderenza alla realtà.
A chi mi chiede che lavoro faccio, adesso rispondo in modo vago che insegno, così da non scatenare curiosità, ma fino a qualche anno fa, quando dicevo di essere una danzatrice, tutti si illuminavano sciogliendosi in stupori e “OOOHHHH CHE BELLO”, e almeno il novanta per cento delle donne mi ha confessato che fare la ballerina era il loro sogno da bambine. L'immaginario collettivo di chi non lavora nel settore dello spettacolo, vede le nostre come delle caleidoscopiche vite brillanti, eccitanti, sempre in tournée, indossando fantastici costumi, a sistemare mazzi di fiori in camerino prima di andare al ristorante per il dopo spettacolo. Probabilmente agli occhi di chi fa uno di quei lavori che vengono comunemente classificati come 'ordinari' (che brutta parola), come stare in ufficio per otto ore al giorno, il nostro mestiere può sembrare un folle miraggio, un'esistenza esageratamente luccicante ed emozionante. Dietro a questa facciata splendente, però, mi duole dirlo così lapidariamente, smontando ogni sfrenata fantasia, si cela una routine fatta di gesti sempre uguali, di infinite sessioni di prova, di piccoli e grandi fallimenti quotidiani, abitudini, routine. Ebbene si: quello del danzatore è un mestiere come molti altri e spesso non ha nulla di così eccitante che risollevi le sorti di una giornata storta o dai momenti di grande stanchezza.
La ripetizione del gesto, però, è un'azione talmente importante nello studio e nella pratica della danza, da essere diventata un elemento  che ha contrassegnato gran parte della produzione coreografica contemporanea, come Pina Bausch ci ha largamente mostrato in molti suoi lavori: una ripetizione coatta, affannata, compulsiva, la sua, spinta al paradosso fino alla rottura, allo smembramento. Certo, da quando l'essere umano è entrato in contatto con la macchina, instaurando con essa una relazione conflittuale, l'ossessione della replica seriale ha condizionato la sua stessa esistenza, ma in questo caso potremmo considerare simbolico il valore emotivo della ripetizione del gesto nella poetica di Pina, qualcosa che nasce spontaneamente dalle richieste quotidiane che la danza esige. Si tratta di una reiterazione che non rimane sempre uguale a sé stessa, quindi, che cresce e si trasforma con una modalità organica e non meccanica.
Ripetere un movimento mille e più volte, analizzarlo in ogni minuscolo dettaglio, scomporlo per poi assemblarlo nuovamente in una forma più efficace e significativa, osservandolo da punti di vista sempre nuovi per coglierne l'essenza più profonda e per averne completa padronanza. Non esiste un altro modo per imparare alcunché, a dire il vero, dal momento che la ripetizione fa parte dei nostri processi di apprendimento, ma solo quando non prevede l'esecuzione coatta dell'azione,  distaccata dal pensiero, solo quando si utilizza la ripetizione per accrescere la comprensione, sia fisica che intellettuale, del movimento, solo così diviene uno strumento formidabile per indagare in maniera sempre più sottile, ripercorrendo la stessa strada per tutto il tempo necessario al corpo e alla mente per sedimentare le informazioni. 

La ripetizione è lo scorrere di un fiume che scava sempre più a in profondità nel proprio letto, lasciandone emergere pietre e metalli preziosi.
Molte volte gli allievi si allontanano dallo studio della danza proprio quando si rendono conto che per gran parte del tempo dovranno ripetere esercizi apparentemente sempre uguali, preferendo dirigersi verso altri linguaggi coreutici nei quali fin dalle primissime lezioni si ha la sensazione, spesso falsa, di padroneggiare il movimento. Nel balletto bisogna studiare a lungo prima di poter affrontare materiale coreografico complesso e questa diffusa impazienza di ottenere risultati in poco tempo impedisce agli allievi di apprezzare la vera bellezza di questa antica tecnica, che sta nel dettaglio, nelle piccole cose, nella cura e nell'atteggiamento, che sono il vero insegnamento che la danza classica può dare a tutti, indipendentemente dal livello che si è raggiunto. Lo studio del balletto è un'esperienza intensa attraverso il movimento, in relazione a ciò che la danza classica è diventata oggi, ma con un legame  molto forte con il fastoso passato in cui questa danza è nata.
Rudolf Nureyev una volta raccontò di essere svenuto sulla sbarra a forza di ripetere e ripetere gli esercizi, affamato com'era, desideroso di raggiungere aulicamente la perfezione che lo ha reso celebre.  Immaginatevi voi quante centinaia, migliaia di tendus, pliés, pirouettes e salti avrà eseguito nella sua vita, senza mai stancarsene, continuando incessantemente a  guardare oltre, per migliorarsi sempre di più.

La ripetizione è noiosa solo quando non se ne capisce il senso e gli obiettivi. Cercate la vostra motivazione in questa azione preziosa, e se non la trovate chiedetevi perché volete danzare.

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