Stefano Salvatori: si racconta il Direttore d’orchestra dell’opera e del balletto

di Francesco Borelli
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Maestro, lei è pianista, compositore e Direttore d’orchestra. Quali sono i motivi che da bambino l’hanno condotto allo studio della musica?

È stato molto naturale. I miei genitori mi regalarono, all’età di tre anni, una pianola Bontempi.  Iniziai a provare un istintivo piacere ad ascoltare i suoni susseguirsi l’uno all’altro e cominciai a comporre le prime, ingenue melodie contemporaneamente alle prime parole. Improvvisavo pensando alla pioggia, al vento… questo mi racconta mia madre.

Vita privata e arte si confondono tra loro: sua moglie, Ghislaine Valeriani è Prima ballerina dell’Arena di Verona. Con la sua collaborazione ha diretto molti Galà di danza con i premier danseur della Scala, del San Carlo, dell’Arena e della Staatsoper di Berlino. Qual è stata la sua prima esperienza in tal senso?

Ho conosciuto mia moglie all’Arena di Verona e lavorando insieme abbiamo iniziato a parlare di “danza e musica”. Un giorno una sua amica, le chiese di organizzare un Gala e ci trovammo a ragionare sulla scelta dei brani musicali, sulle coreografie, sugli interpreti, e su come legare, in un perfetto connubio, tutti questi elementi. Il gala si tenne in Liguria ed io ero particolarmente emozionato perché seduto in prima fila, c’era il Maestro Chailly. Fu molto gentile, alla fine dello spettacolo venne a salutarmi.

Dal 2001 è Maestro del Teatro alla Scala di Milano, dove ha affiancato numerosi direttori quali Barenboim, Dudamel e ha collaborato con artisti come Roberto Bolle, Silvie Guillem, Svetlana Zakharova. Che ricordi ha di ciascuno di loro?

Alla Scala ho potuto lavorare sia nel balletto sia nell’opera lirica.  Il Maestro Barenboim mi ha fatto capire molto chiaramente l’importanza di “aver cura di ogni dettaglio ma senza mai perdere la visione d’insieme “. E poi il senso drammaturgico di una partitura.  Quando si lavora con un cantante, non si può non avere in mente ciò che farà sulla scena. E la partitura contiene gli elementi per avere un’idea chiara di ciò che accadrà sul palcoscenico. Dudamel è una persona che comunica serenità, dirige con naturalezza.  Suonare il pianoforte per Bolle e Zakharova mi ha fatto capire l’importanza di “suonare guardando” e divenire una tutt’uno con i due artisti che stanno, col corpo, dialogando sul palco. Silvie Guillem, invece, mi ha colpito per la grande capacità di interpretare i grandi ruoli del balletto classico rendendoli  vivi e attuali pur nella massima cura filologica.

Quali differenze sussistono per un Direttore d’orchestra tra la direzione di un’opera e di un balletto?

Veramente poche. Se si ha confidenza con il canto e la danza ci si rende conto che le stesse regole valgono tanto per il balletto quanto per la lirica. Si “respira” con il cantante come con il danzatore.

Il rapporto più stretto, durante la direzione di un balletto, lo instaura col coreografo, col regista o con i danzatori?

In generale il rapporto è stretto con il coreografo.  È con lui che s’imposta tutto il lavoro. Se poi esiste anche il regista di un balletto, cosa abbastanza rara, le tematiche si affrontano anche con lui. Inevitabile poi la collaborazione con gli interpreti in scena.

Da professionista che ha diretto, e dirige per il balletto, che idea si è fatta dell’attuale condizione della danza in Italia?

Trovo che l’Italia abbia enormi potenzialità non debitamente sfruttate. Sono moltissimi i talenti che escono dalle tante scuole private e dalle accademie istituzionali, ma difficilmente trovano lavoro nel nostro paese tanto da essere costretti a recarsi all’estero. E questo è un vero peccato.

Nella sua carriera ha diretto concerti, opere, balletti. Qual è l’ambito in cui si ritrova maggiormente?

Li amo tutti e tre. Ciascun ambito mi offre l’occasione di crescere musicalmente e di migliorare.

Lo scorso sabato ha diretto presso il Teatro Antico di Taormina, l’orchestra per il balletto Carmen di e con Josè Perez. Che spunti offre, per la danza, la partitura di Bizet?

La Carmen di Bizet è un miracolo nella storia della musica. I “motivi” melodici, armonici e ritmici si fondono sapientemente tra loro mettendo in risalto i sentimenti umani. Lavorare a questa nuova versione di José  Perez è stata un bellissimo viaggio basato su una collaborazione all’unisono tra me e il coreografo. Un lavoro certosino che mi ha visto seguire le prove in sala ballo e che ha visto Josè assistere alle letture con l’orchestra. Il risultato è stato uno spettacolo bellissimo realizzato presso il Teatro Antico di Taormina, a mio avviso uno dei luoghi più suggestivi al mondo. Sono davvero felice che la critica abbia manifestato un generale consenso nei confronti di questo balletto. In particolare l’intesa tra la musica e la scena ha suggerito a un critico di scrivere che “i musicisti del Teatro Bellini di Catania suonassero magistralmente e quasi col fiato sospeso”. Questo era il mio obiettivo, non potevo sperare di meglio.

Quali impegni l’attendono dopo la Carmen a Taormina?

Il prossimo 28 luglio dirigerò un concerto con una formazione di centouno violoncelli nell’ambito del Festival di Bertinoro. Seguiranno una serie di concerti per piano intitolati “Il viaggio” in cui ci sarà spazio per alcune mie composizioni e alcuni ospiti. Com’è accaduto a San Gemini, dove accanto a me si sono esibiti cinque giovanissimi pianisti i quali hanno eseguito i propri brani a due, quattro e, insieme con me, sei mani. Il 29 luglio suonerò a Barga con il soprano inglese Deborah York, e il prossimo autunno mi attende un altro entusiasmante impegno legato alla danza e a Josè Perez: un concorso internazionale di danza con l’orchestra dal vivo.

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