La danza nel cinema. Saturday Night Fever: verso il postmodernismo a passo di danza

di Fabiola Di Blasi
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Saturday Night Fever è un film cult musicale del 1977 diretto dal regista John Badham.
In apertura, una panoramica che ci mostra le Torri gemelle e Manhattan (dove si concluderà il film) si dissolve in un’altra panoramica che dal ponte di Verrazzano ci porta sulla 86th Street di Bay Ridge a incontrare Tony Manero (interpretato da John Travolta) che percorre le vie su un tacco cinque con il suo rimbalzo iconico, quasi sentisse anche lui le note di Stayin’ Alive. Siamo nella New York di fine anni Settanta, a Brooklyn, in particolare nei quartieri di Bay Ridge e Bensonhurst dove c’è sempre stata una forte presenza italo-americana. Tony vive in famiglia ed ha qualche contrasto con i genitori (una madre dalla mentalità ottusa ed un padre disoccupato) e lavora come commesso in un colorificio in attesa della paga settimanale che gli consente di divertirsi durante il weekend. Il vero protagonista del film è infatti il sabato sera: il momento in cui si esce dalla routine e ci si riunisce per ballare in discoteca. Un rito collettivo, il ballo come evasione. Sabato sera però vuol dire anche eccessi: bere, consumare droghe, correre in macchina, fare sesso. Tony si dissocia dai vizi dei suoi amici, a lui interessa andare in discoteca solo per ballare. Frequenta la 2001 Odissey ed è il re della pista: bello, affascinante, carismatico, corteggiato. Ben presto conosce Stephanie Mangano (Karen Lynn Gorney) a cui dice “Sai, io vado al 2001 perché mi carico solo ballando non andando in giro a fare casino con gli amici”. Stephanie è un’impiegata che da quando ha trovato lavoro sta cambiando vita. Al di là del ponte di Brooklyn, infatti, c’è Manhattan che rappresenta il benessere, una sorta di terra promessa a cui solo gli ambiziosi hanno accesso. Tra i due c’è intesa, benché Stephanie sia molto distaccata, e decidono di partecipare in coppia ad una gara di ballo. Vincono il primo premio ma a Tony il risultato non piace, sa che la coppia che meritava il posto non l’ha avuto solo perché portoricana. Stanco di ingiustizie e di un’esistenza senza prospettive, Tony diventa sempre più insofferente. La sua vita cambia quella sera stessa quando si trova sul ponte di Verrazzano con gli amici ormai ubriachi ed uno di loro, Bobby, il più emarginato per via delle sue origini portoricane, inizia a scherzare e a fare acrobazie fino a cadere dal ponte. Tony assiste impotente alla morte dell’amico e decide di andare via. Trascorre la notte tra un vagone e l’altro della metropolitana, poi raggiunge Manhattan, dove bussa alla porta di Stephanie e le racconta di aver intenzione di andare a vivere da solo, di trovare un altro lavoro e migliorare la propria vita. I due decidono di iniziare un rapporto sincero di amicizia.
La febbre del sabato sera non è semplicemente un film, ma un fenomeno culturale, l’immagine senza filtri di un decennio, gli anni ’70, che segna il passaggio dal conservatorismo dei costumi degli anni ‘60 all’edonismo degli anni ’80, passando dagli hippie per arrivare agli yuppie.
La pellicola affronta tematiche importanti ed ancora attuali, come il malessere giovanile, i problemi di integrazione razziale, l’uso di stupefacenti nelle discoteche, il rapporto col sesso, la violenza tra bande. La vicenda si basa su un articolo del giornalista inglese Nik Cohn pubblicato dal New York Magazine nel 1976 e intitolato “Tribal Rites of the New Saturday Night” in cui si raccontano sostanzialmente due cambiamenti in corso: quello generazionale e quello geografico. Cohn parla di una nuova generazione di fruitori di musica e ballo che viene da un limbo suburbano che vuole essere sempre più visibile. Una comunità giovanile diversa dalle precedenti e composta soprattutto da giovani lavoratori. Inoltre si parla della netta separazione tra luoghi della quotidianità e discoteca: per entrare negli spazi in cui si balla bisogna avere delle caratteristiche precise, un certo abbigliamento, per esempio. In quegli anni a New York dettavano la moda le discoteche di culto come lo Studio 54. Il film di John Badham dimostra che la discoteca è entrata in una fase di globalizzazione e può essere anche considerato un acceleratore del processo, con il suo omaggio alla disco music. Sicuramente ha favorito la rottura dei tabù e l’affermazione di nuovi modelli socioculturali. C’è da dire che, molti anni dopo, Cohn ha rivelato che il suo articolo era in realtà frutto di un lavoro di fantasia. Appena arrivato negli Stati Uniti, Cohn non aveva familiarità con la classe operaia americana e quando gli è stato assegnato il tema, l’unica cosa che ha potuto fare è stata basare il suo pezzo su un giovane uomo conosciuto in Inghilterra (Tony Manero nel film). “La mia storia era una frode” ha dichiarato. Per questo motivo qualcuno parla di film-menzogna.
Saturday Night Fever segna la consacrazione di John Travolta fino a quel momento conosciuto solo per aver ricoperto piccoli ruoli e per una sit-com televisiva. Questa performance gli è valsa la Nomination come migliore attore protagonista agli Academy Awards del 1978.
Le coreografie vantano la firma di Lester Wilson (1942 – 1993), ballerino, coreografo e attore afro-americano che per il film ha allenato personalmente John Travolta. Formatosi alla Juilliard School di New York City, Wilson ha lavorato con grandi artisti tra cui Bob Fosse. Le sequenze ballate di questo film sono ormai storia del Cinema.
La musica ha giocato un ruolo essenziale ne La Febbre del Sabato Sera, anche se non ha ottenuto nessuna nomination agli Oscar del 1978. Una settimana dopo l’uscita del film, la colonna sonora era già in cima alle classifiche. I brani più conosciuti sono dei Bee Gees che grazie a questo film sono tornati alla ribalta. E’ tempo di cambiamento e dai testi delle canzoni scompaiono i temi politici e sociali. C’è voglia di leggerezza.

Il film ha avuto successo di critica e botteghino.
Nel 2010  è entrato a far parte del National Film Registry  perché “storicamente e culturalmente significativo”. Ha avuto inoltre 4 nomination ai Golden Globe, due candidature ai BAFTA Awards 1979 e ha vinto altri premi.

Altre curiosità:
C’è un cameo del regista che compare molto brevemente sulla pista da ballo mentre Travolta la attraversa.
Tony ha in camera un poster del recente film “Rocky”, emblema del riscatto della classe povera italo-americana. C’è anche un poster di Al Pacino, altro italo-americano a cui Manero si paragona di fronte allo specchio e a cui fa un tributo dicendo “Attica! Attica!” battuta di Pacino in “Quel pomeriggio di un giorno da cani”.
L’Italia è stato il secondo Paese europeo in cui la pellicola (in parte censurata) è stata distribuita (prima fu a Londra). Dopo l’uscita, i locali da ballo aumentano del 50% in un anno. Siamo negli “Anni di Piombo” e le nuove generazioni non sono più affascinate dalla politica e dalle ideologie a tutti i costi.
Il film segna l’esordio dell’attrice Fran Drescher, che recita nella piccola parte di Connie, una ragazza che Manero incontra in discoteca. L’attrice diventerà famosa con la sitcom “La tata”.
Il 2001 Odissea Club, in seguito denominata Spectrum, ha chiuso per sempre nel 2005.

Genere: musicale, drammatico, romantico.
Anno: 1977
Regia: John Badham.
Attori: John Travolta, Karen Lynn Gorney, Barry Miller, Joseph Cali, Paul Pape, Bruce Ornstein, Donna Pescow, Val Bisoglio, Julie Bovasso, Martin Shakar, Nina Hansen, Lisa Peluso, Fran Drescher, Denny Dillon.
Sceneggiatura: Norman Wexler.
Fotografia: Ralf D. Bode.
Montaggio: David Rawlins.
Musiche: Bee Gees (Staying Alive, How deep is your love, Night Fever, You should be dancing), David Shire (Manhattan Skyline, Salsation), Tavares (More than a Woman), The Trammps (Disco Inferno), Yvonne Elliman (If I can’t have you) , Walter Murphy (Symphonie No 5 remix da Beethoven), Kool & the Gang (Open Sesame), KC and the Sunshine Band (Boogie Shoes), MFSB (K-Jee).
Coreografie: Lester Wilson
Scenografia: Charles Bailey
Costumi: Patrizia von Brandenstein
Prodotto da: Robert Stigwood Organization
Distributore: Paramount.
Paese: USA
Lingua originale: inglese, italiano.
Durata: 119 Min.
Box Office USA: 139.5 milioni di dollari.

Fabiola Di Blasi

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