Pirouette da manuale: cosa hanno in comune il ballerino e il ghepardo?

di Lia Courrier
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Quante volte nelle lezioni di danza classica, specialmente negli anni di formazione, abbiamo ascoltato i maestri spiegare la tecnica del giro ripetendo: la testa è l’ultima a partire e la prima ad arrivare?
Questo è il primo comandamento per pirouettes da manuale.
Ovviamente ci sono molte possibili ragioni del perché una testa non è nelle condizioni di poter girare in modo libero e fluido: una tenuta non corretta delle braccia, ad esempio, che può portare a sostenere i port de bras dalla parte superiore della cintura scapolare, coinvolgendo trapezio e deltoide, la cui contrazione eccessiva irrigidisce tutto il tratto tra occipite e spalle. Oppure un allineamento non corretto della testa, che porta tensione alla parte anteriore della gola, provocando un’ attivazione dello sternocleidomastoideo, con un risultato analogo, ossia collo irrigidito che non permette alla testa di ruotare con scioltezza.
Il ‘colpo’ di testa nella tecnica delle pirouette, grandi giri e tours in diagonale, è ciò che dona ritmo e vigore al movimento nel suo insieme. Ritmo, certo, perché anche mentre si gira è necessario essere musicalmente coerenti con il contesto in cui quel giro è inserito, che sia in un adagio, nei grandi salti o in una sequenza di tendus al centro, è richiesto un movimento che abbia una certa qualità musicale, che possa donare al giro quel particolare carattere che si sposa con lo spirito dei movimenti che lo circondano.
L’azione di girare, quando eseguita in modo corretto, è una prova inequivocabile della capacità tecnica di un danzatore. La sequenza di eventi che bisogna organizzare, con un giusto tempismo e un buon bilanciamento tra tensione e rilascio, è frutto di anni e anni di studio, di sperimentazione, di consapevolezza e competenze, per conquistare le quali non esiste che un solo metodo: esperienza, pratica e allenamento. Anche chi ha una predisposizione naturale per il giro ha bisogno di un lungo training per dare alla propria pirouette la giusta qualità e quel qualcosa in più che la rende un passo di danza e non un mero esercizio tecnico.

La pirouette è come un’elica, che nel momento in cui comincia a girare aggiunge all’azione rotatoria anche un moto ascendente. Si arrampica verso l’alto quanto più prende spinta per ruotare, e questa sensazione di salita è uno degli elementi più apprezzati e ricercati dai danzatori quando affrontano questo territorio di ricerca. Negli anni di esperienza con l’insegnamento della danza ho analizzato l’esecuzione della pirouette milioni di volte, smembrandola in ogni suo singolo elemento per poter trasmettere delle indicazioni utili per ogni fase del movimento: dagli istanti prima di entrare nella preparazione a ciò che è necessario fare per atterrare dal giro nel pieno controllo di ogni parte del corpo. Ho cercato di dare un senso, dal punto di vista metodologico, alle informazioni e alle esperienze che il mio corpo ha accumulato negli anni, per poterle trasmettere in modo impersonale agli allievi, come un kit di strumenti utilizzabile da chiunque. Ognuno ha il suo preferito, che in ogni momento può modificare per renderlo personale e speciale.
Un aspetto in particolare, tra gli altri, mi ha condotta ad una divertente analisi, a partire dalla famosa frase sulla testa che parte per ultima per arrivare per prima. Mi sono chiesta cos’è che la fa ruotare, da dove prende la spinta e da dove prende la motivazione e nel rispondere a queste domande mi sono resa conto che in fondo non è proprio la testa a prendere l’iniziativa, quanto piuttosto qualcosa che essa stessa contiene: i bulbi oculari, le pupille.

Hai scoperto l’acqua calda, mi direte voi, perché quella di lasciarsi guidare dalla direzione dello sguardo è un’ azione che istintivamente facciamo tutti in ogni movimento della vita quotidiana. Quando camminiamo e cambiamo direzione del nostro avanzamento, ad esempio, lo facciamo proprio a cominciare dagli occhi e poi lasciamo che il resto del corpo segua fluidamente, ma a volte sono proprio le cose più ovvie e organiche che maggiormente vengono inibite nel movimento danzato, in cui la ricerca del sacro graal del movimento spesso ci porta a complicarci la vita anziché semplificarla. Ci sembra impossibile poterci avvalere delle conoscenze innate e intrinseche che il nostro corpo possiede per fare qualcosa che viene percepito come estremamente complesso. E invece secondo me è proprio quello che conviene fare.

Durante la pirouette dovrebbe essere istintivo usare gli occhi per orientarci, se non fosse per quella occhiata fugace allo specchio, o per quello sguardo perso nel nulla che non riesce davvero ad imporsi, vagando alla ricerca di conferme, mentre invece dovremmo avere lo sguardo del predatore. Avete presente quei documentari in cui si vede la star indiscussa della fauna selvaggia, ossia il ghepardo, a rallentatore mentre insegue la gazzella? Ecco. Quello sguardo lì, con gli occhi che non mollano la preda neanche per un istante, senza battere le palpebre, in totale compenetrazione fisica e mentale con l’obiettivo. Quando ci prepariamo per una pirouette, per prima cosa focalizziamo la nostra preda, ossia la direzione di arrivo, con gli occhi del ghepardo, puntando le pupille senza distrazione alcuna, per ritornare lì nello stesso punto ad ogni rapida rotazione, tante volte quanti sono i giri che abbiamo deciso di fare, lasciando libero il cranio di ruotare sul suo appoggio, secondo una naturale reazione all’azione delle pupille. Roar!

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