Ungheria patria mia. Dialogo con i maestri dell’operetta

di Elena D'Angelo
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È noto a tutti che, nell’epoca d’oro dell’operetta, l’Ungheria era unita all’Austria e che i due stati davano vita all’Impero austro-ungarico, sotto l’alto comando dell’imperatore Francesco Giuseppe. Di conseguenza, lo stretto legame che univa le due culture (la magiara e la viennese) fece sì che il nuovo genere, che brillava a Vienna grazie al genio di Johann Strauss figlio, facesse proseliti anche tra i musicisti ungheresi. Abbiamo così l’opportunità di godere delle musiche del giovane Lehar Ferenc che, dopo il successo dei suoi primi lavori, mutò il proprio nome in un più europeo Franz Lehar. Non va infatti dimenticato che, nel secondo atto de La Vedova Allegra, l’influenza di cadenze e ritmi slavo-magiari emerga già dal coro iniziale, sino al duetto de Lo Sciocco Cavaliere e nella musica del Kolo, con l’uso di tutta la famiglia dei tamburitza (particolari chitarre di quelle terre). Altro grande compositore ungherese è Emmerich Kalman che, con la sua Principessa Della Czarda, segnerà il culmine e insieme la fine della Belle Epoque nel 1915. Riserveremo a questo compositore un capitolo a parte.

Per trovare un altro musicista danubiano noto anche in Italia dobbiamo attendere il 1922, quando Carlo Lombardo riunisce i migliori motivi di Zerkovitz Bela e ne fa quella Bambola della Prateria che riscuote un buon successo e che, sebbene ambientata nel lontano west, ha tutto il sapore della musica ungherese.

Giungiamo ad Abraham Pal, europeizzato in Paul Abraham, che tra il 1928 e il 1932 ci regalerà tre perle di operetta jazz, miscelando con alchimistica scienza, il folklore magiaro con i nuovi ritmi nord americani. Nel 1930 scrive Vittoria e il suo Ussaro, dove sono evidenti i numerosi omaggi all’Ungheria: Ragazze Ungheresi, Quando Penso all’Ungheria, Ungheria Patria Mia, Presso al Neva la Casetta, mentre il languido valzer lento di Goodnight, culla la coppia soprano-tenore, Vittoria e Stefano. Uno scatenato comico ed una piroettante soubrette si alternano nel duetto Se la Mamma è Nata a Yokohama, in un amalgamatissima mousse di deliziose note. È interessante ricordare che di alcuni brani di questa operetta, il compositore ha lasciato una traccia discografica di impronta dichiaratamente jazz di alto livello. Nel 1931 debutta Fior di Haway, dove troviamo accanto ad evocazioni di scenari oceanici, come Perla del Mar di Corallo, le languide melodie di Triste è il Bacio Senza Amore, Il Mondo Inter per Me Sei Tu, accanto ai frenetici ritmi di My Little Boy, Bimbe Floride, My Golden Baby, ed il notissimo Un Bambolino Come Te.  Per chiudere in bellezza non si può non ricordare Ballo al Savoy del 1932, dove il nostro Abraham si sbizzarrisce con citazioni a ritmo di tango (Tangolita), paso-doble (Siviglia), con le turcherie di Mustafà Bey (Sul Bosforo, Quando il Turco Bacia) e il languido duetto Toujour l’Amour, di impianto mitteleuropeo.

È da sottolineare che negli anni’30  Abraham era così popolare che quasi tutte le sue operette ebbero  una versione cinematografica.

Mi auguro vi abbia allietato questo repentino viaggio indietro nel tempo alla scoperta dell’Ungheria, fucina di maestri. 

Elena D’Angelo

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