Dancing in “The rain”: il film di Pontus Lidberg per Teatro a Corte

di Giada Feraudo
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Lo scorso week end l’acqua ha fatto da padrona. E non solo in riferimento al meteo, particolarmente inclemente in Piemonte, ma anche e soprattutto alla danza. Nell’ambito del festival Teatro a Corte, che sta ormai volgendo al termine, sono stati eseguiti e presentati al pubblico diversi titoli che hanno condiviso un fil rouge comune: l’acqua, appunto. Ad esempio, “Lazurd, viaje a travès del agua”, performance degli spagnoli Senza Tempo e il film “The rain” di Pontus Lidberg. Quest’ultimo, proiettato al Castello di Rivoli, è un film realizzato nel 2007 e ha al suo attivo diversi premi e riconoscimenti molto importanti. Scrive il New York Times: “The rain illustrates what filmed dance can say that staged dance cannot”. Cosa non può “dire” la danza sul palcoscenico? Forse, per un evidente impedimento del mezzo visivo, ovvero l’occhio umano, l’unica cosa che la danza filmata può far vedere in modo diverso è il dettaglio, il che non significa che nella danza “normale” quest’ultimo non sia importante, anzi fondamentale. Perché dedicarvi tante ore di lavoro e di fatica, se no? Il punto, qui, è che le tecnologie cinematografiche permettono di ingigantire il dettaglio, di vederlo da vicino, anzi, vicinissimo, cosa che uno spettatore normale non potrebbe mai fare, ovviamente, in nessun contesto teatrale. L’attenzione ai dettagli è, appunto, ciò che caratterizza principalmente il lavoro del danzatore e filmaker svedese Pontus Lidberg. Il suo film, che vede protagonisti cinque personaggi, parla di solitudini, di incontri, di contatti, di esperienze comuni, messe in evidenza, nella sequenza, dalla ripresa, da parte dei diversi danzatori, di uno stesso movimento, iniziato generalmente da uno dei performer e terminato da un altro. I corpi dei danzatori, bagnati dalla pioggia scrosciante, che li riveste e li avvolge quasi fosse una seconda pelle, si muovono, si toccano, si staccano, in un turbinio di emozioni, di passioni, di amori che si allacciano e poi svaniscono sotto la pioggia incessante. Piove sui tavolini dei bar, piove sull’asfalto di una grigia città, piove sull’erba di un prato, piove all’interno di una stanza di un appartamento e persino in una vasca da bagno. La presenza costante della pioggia, non certo un elemento nuovo nella storia del cinema, porta senz’altro alla mente dello spettatore almeno altri due pezzi significativi. Il primo è l’intramontabile “Singing in the rain”, in cui, in un certo senso, si parla sempre di incontri, ma in questo caso il protagonista danza gioioso sotto la pioggia battente. Non è il caso di “The rain”, in cui, semmai, il sentimento prevalente è una certa complessa malinconia. Il secondo pezzo è il corto “Passage”, presentato all’ultima mostra del cinema di Venezia, che vede protagonisti Roberto Bolle e Polina Semionova, realizzato per celebrare i primi dieci anni di collaborazione tra il ballerino scaligero e la rivista Vanity Fair. Questo video si avvicina, sotto certi aspetti, al film di Pontus Lidberg, forse per l’ambientazione urbano-industriale un po’ decandente e desolata, forse per la pioggia abbondante, ma qui piove solo fuori, e il protagonista corre, corre alla ricerca di qualcuno, che poi incontra (in un bellissimo passo a due) e che non lascerà, mentre invece in “The rain” gli incontri sono fugaci, e poi ognuno torna alla sua malinconia, alla sua solitudine. Un film interessante, ricco di spunti di riflessione, esempio riuscito di incontro, se così si può definire, di due esperienze diverse come la danza e il cinema, che riescono a trovare ognuna la propria dimensione pur condividendo lo stesso spazio.

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