Mauricio Wainrot: la danza è il proprio riflesso, quasi fosse uno specchio

di Miki Olivieri
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Mauricio, da dove nasce il tuo amore per la danza e chi ti ha indirizzato verso questa nobile arte?

Miky, innanzitutto grazie per esserti interessato al mio lavoro.

Amo la danza da quando ero bambino. La prima volta avvenne quando vidi Fred Astaire e Gene Kelly, avevo 5 o 6 anni, e poco dopo al Ballet of Marquis de Cuevas al Teatro Colòn, mi fu ben chiaro che la danza sarebbe stata parte importante della mia vita, e così fu! I miei primi due amori nella danza furono così diversi; da un lato i musical hollywoodiani e dall’altro il balletto classico. Soltanto più tardi sperimentai la danza contemporanea, e mi innamorai allo stesso modo di questa importante arte del movimento.

Quali studi hai seguito per coltivare la passione dell’arte coreutica?

Iniziai come attore a 17 anni; più tardi, a vent’anni, mi avvicinai allo studio della tecnica classica e a 21 ebbi l’occasione di accedere alla scuola del Teatro Colòn; qui conobbi la danza moderna e, immediatamente, compresi che questo tipo di arte e la sua filosofia erano maggiormente di mio interesse rispetto al balletto classico. Tra i miei primi insegnanti ricordo Wasil Tupin (primo ballerino per Marquis de Cuevas Company e Coronel de Basil Company), per la danza classica, e Eda Aisemberg per il moderno.

Come ti sei avvicinato, in seguito, alla professione di coreografo?

Mi avvicinai alla danza dopo aver studiato teatro per tre anni. Il modo con cui un attore si approccia a un ruolo è abbastanza diverso dal modo con cui lo fa un ballerino; credo che quest’ultimo sia più superficiale ma anche più intuitivo, così decisi di servirmi delle mie competenze di attore per sviluppare storie in danza. Fortunatamente il risultato fu positivo. I miei primi lavori coreografici risalgono a miei 27 o 28 anni.

Verso quale repertorio ti senti maggiormente incline?

Amo raccontare una storia. Mi piace molto creare lavori astratti e atmosfere particolari e rarefatte; questo significa che nei miei lavori c’è un qualcosa di simile a un racconto. I miei balletti li considero particolarmente poetici, e il pubblico può completarli a proprio piacere attingendo dalle proprie emozioni. 

Credi che l’attuale metodo di insegnamento della danza sia efficace?

Sì, credo sia molto buono, altrimenti non avremmo così tanti bravi danzatori.

Quali sono stati i momenti più importanti ed emozionanti della tua carriera, che hanno determinato una svolta nella tua vita professionale e anche nella tua crescita come persona?

Creare Anne Frank fu un momento cruciale nella mia carriera. Innanzitutto perché si tratta di un lavoro meraviglioso, molto forte, portato in scena da 14 compagnie di balletto in tutto il mondo; inoltre, perché è un tema assai vicino alla mia storia e alla storia della mia famiglia. Infine perché ha contribuito a farmi conoscere a livello mondiale. Quest’anno cade il 30° anniversario della prima di Anne Frank, che risale al 5 maggio del 1984, tenutasi a Buenos Aires; il 9 settembre scorso abbiamo celebrato la ricorrenza portando in scena lo spettacolo al Teatro San Martin. Tra le altre mie creazioni, Shakespeare’s Tempest, Sacre du Printemps, Medea, Messiah, A streetcar named Desire, Carmina Burana; tuttavia Anne Frank rimane uno dei miei preferiti.

La ballerina e il ballerino nel panorama attuale e nel panorama del passato, a cui riconosci l’eccellenza?

I ballerini sono atleti e artisti. Come gli atleti, migliorano e si rinforzano anno dopo anno. Oggi i danzatori sono molto più tecnici rispetto al passato, quindi sono in grado di eseguire passi più difficili con un maggiore risultato. Inoltre ricevono un aiuto dalla tecnologia; ai nostri tempi danzavamo su pavimenti di legno senza problemi, mentre oggi i ballerini non danzano se non su pavimenti appositi, e io sono d’accordo con quest’innovazione. Non si può tornare indietro e regredire; ogni risultato che siamo in grado di conquistare dobbiamo conservarlo al meglio. Se ci sono danzatori sempre più bravi, e anche noi coreografi progrediamo allo stesso modo, i nostri balletti saranno recepiti dal pubblico  con maggiore interesse.

Chi ti ha aiutato o ha creduto di più nella tua carriera?

Molte persone hanno creduto in me e mi hanno aiutato a diventare un coreografo. Diversi artisti a me vicini, come Kive Staiff, mio direttore al Teatro San Martin che mi diede carta bianca nel realizzare tutti i balletti che volevo, coltivano un mio personale stile. Anche Oscar Araiz, il quale mi diede la possibilità di debuttare come coreografo lavorando per la sua compagnia a Buenos Aires. E ancora Ivan Nagy che mi invitò a lavorare con lui in tre diverse compagnie di cui era direttore artistico; The Cincinnati Ballet, English National Ballet e Ballet de Santiago in Cile. Lui in particolare mi commissionò un nuovo balletto, A streetcar named Desire, uno dei miei migliori di sempre. Il più importante fu però Robert Denvers, direttore artistico del Royal Ballet of Flanders, che mi invitò a lavorare per la compagnia nominandomi Permanent guest choreographer dal 1992 al 1994; qui creai Carmina Burana, Messiah, The 8 Seasons, Journey, Looking Trough Glass, Tango Plus, Wayfarer Songs e Distant Light, lavoro grazie al quale arrivai finalista per la prima volta al prestigioso Premio Benois de la Danse nel 2004.

Qual è il balletto che hai più amato? e il coreografo?

Credo sia stato Kontakthof di Pina Bausch, e Dark Elegies di Tudor. Inoltre molte delle creazioni di Kylìan e di Ek. Li ho amati molti. 

A quale ricordo sei maggiormente legato nella tua carriera?

Ne ho talmente tanti che potrei scrivere un libro; la mia memoria è buona quindi ricordo molte cose, alcune importanti, altre divertenti o tristi. Inoltre rammento le storie di famiglia che si mescolano nei miei balletti con altre storie. Come coreografo ho creato per 49 tra balletti e compagnie di danza in tutto il mondo, e in molti di questi sono ritornato 3 o 4 volte. Mi piacerebbe molto vedere i miei lavori danzati da diversi ballerini in differenti compagnie, dato che ciascuno è abbastanza unico.

Quest’anno sono stato di nuovo a Mosca, nominato finalista per il premio Benois de la Danse 2014 con Song of the Earth by Mahler è stato un grande onore essere ancora presente. Nel 2008 fui membro della giuria per lo stesso premio, e prima nel 2004 finalista con Distant Light. Nel 2008 il Re del Belgio mi ha nominato Cavaliere de l’Ordre du Leopold per lo straordinario contributo artistico al mondo della danza, in particolare in Belgio. Ho collezionato diversi premi negli Stati Uniti, in Cile e in Argentina, e partecipato come giurato in molte competizioni come l’internazionale Prix de Lausanne e la New York International Ballet Competition.

Qual è stato il tuo primo lavoro coreografico e quale ricordo conservi?

Ho fatto due o tre brevi lavori, ma considero il mio primo lavoro Reflections, l’unico di cui sono creatore e interprete. In seguito non ho mai più danzato nessuno dei miei lavori. Alla prima di Reflections nel 1978, dopo il termine dello spettacolo, ricordo tutti i miei insegnanti e tutto il pubblico totalmente commosso, così toccati da ciò cui avevano assistito. Capii che per me quella era una nuova via e un grande passo nel mondo della danza.

Come prepari una coreografia?

Ogni coreografia ha il proprio processo. Se si tratta di un balletto basato su una storia complessa, devo realizzarne un adattamento, poi trovare la musica che possa andare bene per le sensazioni e i sentimenti che provo e per la storia che voglio coreografare. Nel caso invece di un balletto astratto, inizio dalla musica, ascoltandola e riascoltandola tutto il giorno, quasi fosse parte di me. Dopo di che in sala danza improvviso ogni movimento di fronte ai miei ballerini, i quali copiano quello che faccio; poi scelgo, cambio, e inizio a creare idee che non si arrestano mai. Mi piace giocare, e di solito il processo si rivela sempre divertente.

Quali sono oggi i problemi riscontrati per una Compagnia di danza, tu che ne hai dirette alcune tra le più prestigiose, e ancor oggi sei Direttore?

Il primo è il budget a disposizione, poi il fatto che i ballerini passano troppo velocemente da una compagnia all’altra, quindi diventa difficile codificare uno stile, una firma che distingua la singola compagnia; il risultato è una serie di compagnie che si assomigliano, anche per via del repertorio che è più o meno lo stesso in molte di esse. Amo i danzatori dotati di fantasia, musicalità e, ovviamente, di buona tecnica, ma la caratteristica che apprezzo di più è l’immaginazione, la capacità di dire qualcosa di diverso ad ogni ruoli interpretato. Amo essere sorpreso dai ballerini e creare una forte alchimia. Un altro problema è che esiste un legame troppo forte con la politica in molti paesi, per cui in alcuni casi sei costretto a vendere l’anima al diavolo, o a persone che non sanno nulla di danza o di arte, e questo accade in molti consigli direttivi in USA o Canada. Politici e consigli direttivi dovrebbero sostenerci non servirsi di noi per i loro obiettivi. Tuttavia, riusciremo a farcela nonostante queste problematiche.

Da dove nasce la tua ispirazione?

Da molte fonti: musica, racconti, film, dai danzatori che hanno grande personalità o tecnica, o dalla vita… l’ispirazione è infinita.

Cosa rappresentano le tue coreografie?

Le mie coreografie sono il mio “io” che esce al di fuori. In ogni creazione c’è molto di me, del mio pensiero, dei miei ricordi, del mio passato, dei miei desideri, delle miei idee politiche, dei miei amori e delle mie perdite. 

Quali sono stati i tuoi maestri, non solo materiali ma anche ideali?

Ne ho avuti molti, alcuni dei quali non sanno nemmeno di esserlo stato; Vasil Tupin, Eda Aisemberg, Oscar Araiz, Hector Zaraspe, Ilse Wiedmann, Fellini, Visconti, Bergman, Bausch, Killian, Ek, Streisand, Mina, Vanoni, Strehler, Gasmann, Mastroianni, De Sica, ecc. 

Ti è capitato di conoscere delle persone dotate di grandi potenzialità artistiche ma che, per mancanza di spirito di sacrificio e sopportazione della fatica, non sono potute emergere nel mondo artistico?

Sì davvero molti; non è abbastanza il talento artistico, bisogna avere concentrazione, dedizione, espressione, cultura, vocazione, desiderio di diventare qualcuno e, certamente, un pizzico di fortuna.

L’umiltà: quanto conta in arte?

Perché dobbiamo essere umili? Noi dobbiamo essere credibili e veri. Sinceri nel nostro lavoro e nelle nostre vite. Questo è importante. 

Oltre la danza, quale altre passioni coltivi?

Il cinema, il teatro, l’arte contemporanea, la pittura e la scultura.

Nella tua carriera hai avuto tanti incontri illustri del mondo della danza, chi ricordi maggiormente?

Mi ritengo fortunato per aver incontrato persone importanti e interessanti. Margot Fonteyn che venne a Buenos Aires, Nureyev, Barishnikov, Merce Cunningham, Paul Taylor, Pina Bausch, Alicia Alonso, Ivan Nagy, Robert Denvers, Julio Bocca, con cui lavorai molte volte, Paloma Herrera, Maximiliano Guerra, John Neumier, Matz Ek, con cui condivisi una serata ad Hannover, Grigorovich a Mosca, Carla Fracci in molte opere, Teresa Berganza, Renata Scotto, Richard Tucker, Fiorenza Cossoto, e molti altri.

C’è in particolare un ballerino o una ballerina o una compagnia a livello mondiale con cui ti piacerebbe lavorare?

Sì mi piacerebbe molto lavorare con il Balletto della Scala e con l’American Ballet Theatre. Tra i ballerini, Marianela Nuñez e Roberto Bolle.

Pensi sia indispensabile per un coreografo aver avuto esperienza di danzatore e/o di insegnante?

Sì, assolutamente sì. Ci sono diversi “coreografi” per esempio in Belgio e Francia, che non hanno ballato nella loro vita, e io non provo interesse per i loro lavori. C’è una mancanza di musicalità e di uso dello spazio; un eccesso di tecnologia, e i danzatori diventano come ombre  che si muovono sulla scena.

Cosa vuol dire per un coreografo poter lavorare con un gruppo stabile di ballerini?

Per me è il modo ideale per crescere in molti aspetti. Lo facciamo nella compagnia a Buenos Aires, dove molti dei danzatori provengono dalla nostra scuola, quindi conoscono la nostra filosofia, il nostro modo di pensare. Come coreografo è molto più interessante, facile e creativo lavorare con loro. Inoltre, consente di raggiungere un buon risultato, e questo rende tutto maggiormente piacevole.

Il tuo sogno nel cassetto?

 

Ho realizzato molti dei miei sogni; un desiderio che ancora vorrei vedere esaudito è che la danza diventi un arte più diffusa e fruibile, in modo che chiunque possa trovare in essa il proprio riflesso, quasi fosse uno specchio.

(traduzione dall’inglese di Beatrice Micalizzi)

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