Lorella Cuccarini: “Trent’anni di carriera? Li guardo con lo stupore di un bambino”. Seconda parte

di Francesco Borelli
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Racchiudere trent’anni di Cuccarini in poche righe è davvero impossibile. Ogni nome un aneddoto. Ogni ricordo un’emozione. Imparare a conoscerla, però, non è difficile. Lorella è trasparente come il cielo di primavera, limpida e pura come il mare d’agosto. Parlare di danza insieme con lei è come sfogliare la storia della TV, quella bella dove esisteva la creatività, la ricerca, piena di artisti veri e che, ahimè, non esiste più.

Quali sono le carte vincenti a livello ballettistico che ti hanno caratterizzato?

La grinta, la gioia di ballare e di essere sul palco non mi sono mai mancate. Credo che queste caratteristiche abbiano compensato le mie pecche da un punto di vista tecnico. Non sono mai stata dotata di grandi aperture, tutto ciò che ho ottenuto, me lo sono sudato e guadagnato con grandissimo lavoro. Di certo non mi sono mai fermata davanti a nulla. Gino Landi è stato il coreografo che mi ha spinto al limite, sia tecnicamente sia da un punto di vista acrobatico. Mi diceva sempre di continuare a provare e che se non fossi riuscita, mi avrebbe cambiato il passo. Non mi sono mai arresa e quasi sempre riuscivo.

Quando ballavi, ciò che colpiva, oltre alla bellezza di un corpo lunghissimo, gambe e braccia infinite, era la passione. Riuscivi a essere Belle de “La Bella e la Bestia”, poi la femme fatale, poi Sandy di “Grease”. Ogni volta diversa.

Io ho sempre vissuto la danza in maniera attoriale. Interpretare un balletto è anche questo. Senza fare paragoni assurdi, ma la Fracci di “Romeo e Giulietta” non è la stessa Fracci di “Giselle”. Ogni balletto, ai tempi di “Fantastico”, “Festival”, “Buona Domenica” o “Uno di noi”, era pensato in maniera totale. Volevamo raccontare una storia, essere qualcuno Ho sempre cercato di dimenticare Lorella e diventare il personaggio che mi veniva chiesto di interpretare. Poi, in sala prove, lavoravamo moltissimo. Iniziavamo il lunedì mattina e ne uscivamo il venerdì, lavorando dalle otto alle dieci ore al giorno. Gli imprevisti durante la diretta potevano capitare – scarpe che volavano, vestiti che si strappavano, scenografie che cadevano- ma eravamo una vera e propria macchina da guerra.

Oggi è ancora così?

No, assolutamente no. Quando mi capita di dover fare un piccolo numero in TV le prove sono pochissime. Io, in una televisione così approssimativa, non ci sto bene. Credo che il pubblico non meriti questo. Vengo da una scuola diversa. In cui si era padroni assoluti della propria materia. Oggi non è più così.

Tu hai lavorato con tutti i coreografi della televisione italiana. Da Franco Miseria, Gino Landi, Michelle Assaf fino a Marco Garofalo e Luca Tommassini. Chi, fra tutti, ha tirato fuori la Cuccarini ballerina migliore?

Ognuno ha il proprio merito. Gino Landi, con cui ho fatto la seconda edizione di “Fantastico” e “Festival”, come dicevo prima, mi ha portato al limite. E’stato molto duro, ma – nella sua freddezza – è riuscito a farmi fare cose che non avrei ritenuto possibili. E ancora oggi lo ringrazio. Con Marco Garofalo ho lavorato moltissimo. Due anni di “Buona Domenica” sono stati pieni di tantissime cose. Marco è un appassionato, un entusiasta, amante della tecnica pura. Abbiamo creato numeri davvero straordinari. Franco Miseria ha lavorato su delle mie corde che non avevo mai toccato. Tra tutti è il più particolare. Con lui ho fatto il primo “Fantastico”, la terza edizione di “Buona Domenica”, “La Stangata” e soprattutto “Grease” in teatro. Con Luca Tommassini abbiamo dato concretezza alla sua follia. Da “La notte vola” e “Uno di noi” fino a “Il Pianeta Proibito”. Credo, quest’ultima, una delle cose più belle che abbia mai fatto.

Che coreografo è Luca Tommassini?

Luca ha sempre avuto una visione più americana. Prima c’è l’idea, la scenografia, i costumi, la musica, poi il passo, come fosse un corredo alla riuscita di un numero. I balletti realizzati con lui erano dei piccoli film.

In molti rimproverano a Luca Tommassini di averti fatto ballare poco.

Io credo ci sia un tempo per tutto. Oggi, a cinquanta anni, non posso pensare di essere la ballerina dei venti o dei trent’anni. Anche la televisione non ha dato più spazio a quel tipo di balletto. Con Luca ho potuto dar spazio più alla Lorella interprete, che non alla ballerina pura. Penso che tutto sia avvenuto al momento giusto. Comunque l’epoca dei grandi balletti in TV non esiste più.

Quale tra i tanti partner che hai avuto ti è rimasto nel cuore?

In cima a tutti metto Silvio Oddi. Con lui ho lavorato tantissimo e sono stata davvero bene. Era un grandissimo ballerino, appassionato e professionale. Mi manca molto, ci ha lasciati troppo presto. Per fortuna ho bei ricordi di tutti i ballerini che mi hanno accompagnato in tutti questi anni. Da Manuel Franjo fino A Kirk Offerle, Fabrizio Mainini e Jonathan e Marcello con i quali ho danzato ai tempi della mia prima “Domenica In”. Facemmo pochissimo, ma erano e sono danzatori fenomenali. Jonathan poi è da tenere sotto controllo anche come coreografo.

E’ più facile credere alla gente che ti riempie di complimenti o alle critiche?

Cerco sempre di filtrare ciò che mi viene detto. I complimenti sono bellissimi – ma se troppi -stonano. Tendenzialmente cerco di non alimentare troppo il mio ego. Le critiche le ascolto. Da sempre. Si può imparare molto.

Tu hai spaziato in ogni campo dello spettacolo e hai visto riconoscere il tuo valore e dal pubblico e dalla critica. Ricordare i premi che hai ricevuto in trent’anni di carriera è praticamente impossibile. Come ti poni nei confronti di un così grande successo?

Sono felicissima perché vuol dire che tutto ciò che credevo e speravo era giusto. Io volevo essere quello che sono adesso. Un’artista completa in grado di danzare, cantare e recitare.

Qualsiasi cosa tu dica sembri persona sincera. Nulla in te appare costruito o finto. E’davvero così?

Ho sempre cercato di presentarmi alle persone per quello che sono. Difficilmente dico una cosa diversa da ciò che penso. Magari preferisco omettere, per non ferire. Ma essere sincera, sempre,  mi regala la sensazione che non ci siano sorprese.

Ti sei mai sentita usata durante la tua carriera? C’è stato qualcuno che ha approfittato della tua autenticità?

Soprattutto all’inizio in tanti si avvicinavano solo perché mi chiamavo Lorella Cuccarini. Tendenzialmente sono molto aperta, ma cerco di capire le persone. Poi mi lascio andare. E se prendo una delusione, pazienza. Preferisco questo piuttosto che limitarmi, perché significherebbe cambiare il mio modo di essere. E non potrei accettarlo. Voglio mantenere il cuore e l’anima dei miei vent’anni. Voglio rimanere intatta.

Sandy, Charity, Miranda, Madre Gothel. Quattro ritratti di donne molto diverse tra loro. Come ti approcci ai personaggi che interpreti?

Sempre con grande umiltà. Dal punto di vista del testo “Grease” era un musical leggero. Ma fu il primo e lo porterò sempre con me. “Sweet Charity”, viceversa, aveva una profondità e un’anima di altro spessore. In più il confronto con Shirley Mcline faceva tremare le gambe. In generale mi pongo davanti al regista come un foglio bianco su cui poter disegnare ogni singola sfaccettatura del personaggio che devo interpretare.

E Madre Gothel?

Con Maurizio Colombi abbiamo fatto uno splendido lavoro. Madre Gothel è molto diversa da me, ma lo stesso personaggio nel corso dello spettacolo cambia veste e anima. Gothel è una cattiva che ha tanti sapori diversi: è malvagia, grottesca, buffa, sensuale. Ma con grande lavoro il risultato è arrivato.

Si vocifera di Lorella Cuccarini nelle vesti di “Mary Poppins”.

Chissà. Per quanto riguarda i diritti ci sono ancora tanti problemi. E poi è uno sforzo economico notevole. Di certo mi piacerebbe moltissimo. E’un ruolo ben scritto e sarebbe un altro family show in grado di portare a teatro le famiglie.

Secondo te la gente viene a teatro perché lo spettacolo è bello o perché si può ammirare la Cuccarini della TV?

Alcune persone vengono, di certo, perché ci sono io. Nel tempo hanno amato i miei programmi e i miei musical e si fidano di me. Altri per il titolo. “Rapunzel”, nel caso specifico, unisce le famiglie dai bambini fino ai nonni. Credo che, in un periodo di crisi come questo, il nome in cartellone sia solo un valore aggiunto. E’ fondamentale che lo spettacolo sia ben fatto. Il personaggio da solo non può dare una marcia in più se non c’è tutto il resto.

Come dicevamo prima sei un’artista pluripremiata. Donna dei record per tantissimi motivi. Trent’anni di carriera vissuti, con alcuni momenti di difficoltà, all’insegna della bellezza.

Io guardo a tutti questi anni ancora con lo stupore di un bambino. Se ripenso a quella ventenne che diceva a se stessa di cogliere l’attimo provo una grande tenerezza. Oggi sono passati trenta lunghi anni. Ho costruito tantissimo: nella carriera, nella famiglia e nell’impegno sociale che per me è fondamentale.

Ti senti un po’ speciale?

Io credo che tutti noi siamo speciali. Alle volte non ci vogliamo abbastanza bene e non riusciamo a guardarci dentro. Ma credo che ognuno di noi abbia dei doni. L’importante è saperli individuare. Io ho avuto questa fortuna così come la possibilità di incontrare delle persone che condividessero con me tale consapevolezza.

In questi trent’anni avrai incontrato migliaia di ragazzi che ti hanno detto di avere iniziato a ballare dopo aver visto te in televisione. Come ti senti sapendo di aver rappresentato così tanto per tantissimi ragazzi?

E’ una cosa che m’inorgoglisce ma che – ancora oggi –  mi sembra incredibile. Non mi sono mai amata particolarmente come ballerina, ho sempre trovato in me tantissimi difetti. E l’idea di essere stata un personaggio simbolo per tanti danzatori mi fa sorridere, perché mi sembra di non meritarlo. Di certo ho sempre sentito la responsabilità, poiché personaggio pubblico, di essere un modello positivo, coerente con ciò che avrei potuto rappresentare. E chissà, forse, in piccolissima parte, ci sono riuscita.

Qualcuno ha detto che se vivessi in America saresti già direttrice di un teatro.

Non pongo limiti ma per adesso amo ancora il palcoscenico, è quella la mia casa.

Dopo quasi due ore di chiacchierata Lorella ed io ci salutiamo. Un forte abbraccio, la foto di rito e un “ci vediamo presto”. Guardo questa donna bellissima allontanarsi e rifletto sulle sue parole. Forse è vero, siamo tutti speciali. Ma, non me ne voglia la più amata, alcuni lo sono di più. Lorella, persona dalle tante qualità, è piena di quella luce di cui parlavo alla fine della prima parte di questa lunga intervista. Si vede, si percepisce, è palpabile. Trent’anni di Cuccarini sono solo l’inizio. Perché – come recitava qualcuno di mia conoscenza- come te, nessuno mai.

 

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