Lia Courrier: “Il posto fisso e il lavoro sicuro”

di Lia Courrier
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In virtù del mio lavoro sono a contatto con moltissimi giovani che inseguono il sogno di realizzarsi nell’ambito del lavoro nello spettacolo dal vivo. Più precisamente nella danza.

A fronte di tanti ragazzi che sono supportati dai genitori, con grande dedizione, in alcuni casi in modo insistente persino quando non c’è un vero talento su cui poter fare affidamento, ce ne sono altri che devono davvero lottare in casa per far accettare alla famiglia non tanto la propria scelta, ma semplicemente il desiderio di intraprenderla, un fenomeno che riguarda soprattutto i maschi.

Viviamo in anni di grande cambiamento sociale e l’Italia, che fino a venti anni fa era un luogo in cui si poteva dire ci fosse una certa stabilità, con il cosiddetto ‘posto fisso’, è stata testimone di un vero e proprio smembramento delle politiche sul lavoro. L’introduzione del concetto di flessibilità, che sulla carta porta con sé un’idea di libertà e di possibilità, poi nei fatti ha scombussolato alla radice il nostro sistema, rendendo tutto estremamente instabile e – usando una parola che riassume in sé il senso profondo di questi anni di crisi – precarietà.

Il numero dei laureati è aumentato a dismisura, tutti vogliono e sperano di avere un lavoro brillante, di fare carriera, e per questo spendono tempo, denaro ed energia in qualsiasi tipo di master o dottorati nelle facoltà più in auge, con la convinzione che un pezzo di carta possa diventare il passepartout per le porte del successo. In realtà i posti di lavoro sono sempre pochissimi e i candidati troppi, in più i datori di lavoro spesso pensano solo al profitto e ormai siamo arrivati al punto in cui consideriamo normale che una persona che ha concluso con successo un percorso accademico e magari anche un master post laurea, debba adattarsi a lavorare come stagista per qualche centinaia di euro al mese, coprendo magari una mansione che neanche rientra nelle sue competenze più specifiche.

Spesso in Italia l’attenzione va verso la cosiddetta ‘fuga di cervelli’, ossia di quei talenti speciali che scelgono di cercare all’estero la propria strada per la realizzazione, ma nessuno si preoccupa della grande massa di persone che non possiedono particolari genialità, ma che hanno accumulato esperienze e competenze duramente, in ambiti accademici che a volte sembrano quasi mettere i bastoni tra le ruote agli studenti e in un mondo del lavoro che li vorrebbe per sempre a casa con mammà.

Tutto questo per dire che oggi non esiste un percorso di studi che possa davvero garantire, come una volta, di avere un’occupazione. Anzi, molte volte i ragazzi rimangono invischiati nei percorsi formativi per anni, perché magari contemporaneamente devono lavorare per mantenersi agli studi, fino ai 25 o addirittura 30 anni, per poi ritrovarsi nella babele del curriculum da inviare, le agenzie che trovano il lavoro, contratti ai limiti della decenza, o dell’indecenza.

Non è una situazione molto rassicurante, lo so, ma rendiamoci conto che in questo panorama formarsi come danzatore, qualora ci si accertasse di averne il talento e la predisposizione mentale e fisica (esattamente in quest’ordine), non è più qualcosa di così aleatorio come si potrebbe pensare. So che in Italia il nostro non è neanche considerato un mestiere, ma pensate a quali possibilità una formazione professionale potrebbe dare: innanzitutto la carriera di danzatore comincia da giovanissimi, non è ammissibile pensare di studiare fino a 30 per buttarsi nella mischia delle audizioni, a quella età devi già essere sul mercato del lavoro e sei praticamente arrivato al culmine fisico e artistico della carriera, a seguito della quale puoi indirizzarti in innumerevoli altri ruoli rimanendo nell’ambito della danza: la coreografia, l’insegnamento, la direzione, l’assistenza, giusto per citarne alcuni.

Danzare ti porta a girare il mondo, vivere esperienze che ti fanno crescere come persona e come artista, si tratta davvero di una opportunità che prima ancora di essere lavorativa diventa una vera e propria scuola di vita. Di certo non è facile vivere di danza, richiede grande dedizione e costanza nello studio, ma dal momento che realizzarsi dal punto di vista professionale non è facile per nessuno, perché non concedersi l’opportunità di abbracciare una professione che è anche una passione? Del resto, cari genitori, per esperienza personale vi avviso che è molto difficile fermare chi sente questo tipo di spinta, anzi, più farete resistenza e più il desiderio aumenterà. Inoltre imporre strette limitazioni al bisogno di esprimersi attraverso l’arte, potrebbe lasciare ferite molto profonde nel cuore di vostro figlio o di vostra figlia, poiché questa è una spinta che nasce da un bisogno di comunicazione ad un livello diverso da quello verbale, ed è parte di un processo per la ricerca di Sé. Non riconoscere l’importanza di questo anelito, o peggio, screditarlo dicendo che è qualcosa che non ha valore, può essere vissuto come un non essere visti, non sentirsi compresi, e questo porterà distanza tra di voi. Conosco tantissime persone, molti dei quali divenuti poi professionisti della danza, che si portano questo nodo nel cuore, e con esso anche il rimpianto per non aver potuto seguire il proprio istinto fin dall’inizio. Non ostacolate i sogni dei vostri figli, anche quando questi sono diametralmente opposti ai vostri desideri, che trovano fondamento certamente sull’amore che nutrite per loro, ma si tratta pur sempre di proiezioni, poiché i ragazzi hanno una propria indipendenza intellettuale ed emotiva, una propria storia e un mondo interiore che non appartiene a nessun altro che a loro stessi, e merita di essere ascoltato quando mostra con prepotenza il desiderio e la volontà di esprimersi.

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