Lia Courrier ci parla delle lezioni di danza…a luglio

di Lia Courrier
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Come ogni estate ho appena concluso con gioia il mio lavoro, per quest'anno, prolungandomi un po' oltre il consueto, con uno stage a Luglio per salutare i miei allievi prima delle vacanze. Sono state lezioni dal profumo di vacanza, in cui ci siamo molto divertiti, utilizzando quest'ultima occasione di studio per metabolizzare ciò su cui abbiamo lavorato per tutto l'anno, godendo di questo status ideale dato da un corpo allenato e reattivo.

L'esperienza di fare lezione quando fuori ci sono più di trenta gradi è davvero particolare perché, nonostante nella sala in cui lavoro ci sia la possibilità di accendere l'aria condizionata, l'umido che viene emesso da tutti quei corpi in movimento forsennato, insieme alla temperatura che sale sempre più ad ogni esercizio, rendono le condizioni davvero accessibili solo a pochi, arditissimi adepti di Tersicore.

Ancora prima di cominciare, solo per aver fatto qualche movimento di riscaldamento, la pelle comincia a diventare appiccicosa al punto da decidere di fare stretching in piedi anziché al suolo, per non rischiare di rimanere incollata al pavimento, come quando la lingua ti rimane attaccata al ghiacciolo appena scartato. Dopo qualche esercizio il sudore comincia a sgorgare copiosamente dai pori della pelle, come una sorgente continua, inondando naso, orecchie, occhi, mentre gli abiti si chiazzano sempre più. A metà sbarra ti ritrovi inzuppata come Alex, la protagonista di 'Flashdance', con la differenza che tu non hai tirato nessuna catenella appesa al soffitto e nessuna secchiata d'acqua ti è stata gettata addosso mentre fai cambré sulla spalliera di una sedia. Si tratta di semplice autoproduzione dall'interno.

Se poi fai l'errore di bere in questo momento, la sorgente che sgorga da ogni poro comincia a manifestare l'irruenza delle cascate del Niagara, in una specie di ricircolo continuo: bevi e sudi, bevi e sudi, bevi e sudi. La vista comincia ad appannarsi a causa del Rio delle Amazzoni che nel frattempo scende dalla fronte madida, confluendo direttamente nel bulbo oculare, ma non puoi detergere perché il port de bras non permette alle mani di andare così vicino al viso, così fingi indifferenza e vai avanti senza vedere nient'altro che acqua. Giunti alla fine del grand battement preghi i tuoi santi di mantenerti in vita fino alla fine della classe, mentre ti butti con un doppio carpiato sul pavimento: nella versione ufficiale per allungarti, in realtà per cercare un istante di riposo. Fingi di respirare in una posizione plausibile ma non troppo dolorosa, cercando un dialogo silenzioso con i pori dell'epidermide, pregandoli di smetterla di spremere fuori liquidi.

In centro si fanno più gruppi, è possibile respirare un po' e riposarsi più a lungo tra un esercizio e l'altro. Ma ecco che l'aria condizionata, che prima avresti voluto mettere a meno quindici gradi, adesso ti becca nei punti deboli, congelando all'improvviso il sudore in stalattiti di ghiaccio lungo la colonna vertebrale, così cominci a girare per la sala come un leone in gabbia cercando un punto dello spazio dove non ci siano spifferi che ti criogenizzano il cou de pied.

La cosa peggiore, però, è quando qualcuno chiede: “si può spegnere l'aria condizionata per favore? Mi arriva troppa aria”: sguardi terrorizzati attraversano la sala, maledizioni e anatemi nei confronti della richiesta e della persona che l'ha formulata, perché il raggio laser congelante è sempre meglio del microclima che si forma un centesimo di secondo dopo l'avvenuto spegnimento della macchina della salvezza. La temperatura sale di milioni di gradi centigradi in un nanosecondo, l'interno del corpo diventa come un altoforno, espandendosi per effetto del calore, colonne di vapore si sollevano dalle orecchie mentre gli elastici delle scarpette da mezza affondano sui profili delle vene che sembrano quasi per esplodere. Affrontare la sessione di salti in queste condizioni è una prova davvero durissima. Ormai quasi ci si muove per inerzia, l'istinto di sopravvivenza guida verso una istintiva operazione di economizzazione del dispendio energetico, per cui la danza sembra essere spinta dalla musica, o da chissà cos'altro, ci si sente quasi posseduti dal movimento, cercando di inalare quando possibile quell'aria rovente, con le guance rosse, i capelli appiccicati sul viso e gli abiti incollati alle ginocchia, pesanti d'acqua. In questa fase normalmente la persona che ha chiesto di spegnere l'aria condizionata si pente amaramente di averlo fatto, ma per orgoglio non dice nulla e sopporta in silenzio fingendo indifferenza.

Il pavimento è costellato di chiazze di sudore, che rendono tutto questo agitarsi nella danza ancora più pericoloso per effetto acquaplanig. I gruppi si succedono sempre più veloci nelle diagonali di grande salto, ad un certo punto si fa il giro di boa e non si riesce più a smettere di danzare, destra, sinistra, destra, sinistra, fino a che non decido di andare in loro soccorso urlando REVERAAAAAAAAANCE!!! 

Ecco che l'incanto si spezza, il sorriso riempie quei visi affaticati e soddisfatti di essere riusciti a tenere botta fino all'ultimo. Procediamo con una piccola sequenza di chiusura insieme, infinitamente grati gli uni agli altri, un po' orgogliosi della forza di volontà dimostrata e poi tutti in doccia a  rinfrescarci prima di affrontare il resto della giornata. Non senza aver prima bevuto ettolitri di acqua, ovviamente!

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