La danza la si deve guardare in video o in teatro? Ce ne parla Lia courrier

di Lia Courrier
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Dai tempi della galassia Gutenberg, prima, e poi con la nascita della fotografia, si è entrati in un’epoca  in cui la riproducibilità seriale delle opere diventa realtà, un cambiamento epocale che ha anticipato il villaggio globale e la diffusione delle informazioni di cui oggi possiamo disporre grazie i mezzi tecnologici. 

Quando ero una giovane studente di arte all’Istituto statale, trascorrevo interi pomeriggi a sfogliare i libri su cui erano presenti foto di opere d’arte custodite nei musei e pinacoteche di tutto il mondo e mi sembrava bellissimo avere la possibilità di visitare quel museo ideale seduta al tavolo di casa mia, in Sicilia. 

Certo, quando poi avevo la fortuna di vedere quelle opere dal vivo, avevo come la sensazione di non averle mai conosciute, poiché nonostante sapessi la storia di quel quadro, dell’autore, del soggetto rappresentato, della composizione, linea per linea, essere al cospetto del potere vibrazionale di una tela dipinta da un maestro è tutta un’altra cosa. I colori, le tracce delle pennellate, e il semplice fatto che per contemplarlo mi trovavo nella stessa posizione da cui probabilmente l’autore valutava il proprio lavoro, facevano impallidire la sensazione che mi avevano dato quelle foto, sbiadite imitazioni dell’abbacinante originale, pieno di vita e con un’anima tutta sua. 

Non è semplice riprodurre un’opera d’arte attraverso mezzi tecnologici, c’è qualcosa di misterioso e di irresistibilmente sarcastico, trovo, in questo sottrarsi dell’arte ad essere catturata dalla lente di un obiettivo. Questo è ancora più vero quando si parla dello spettacolo dal vivo, del teatro e della danza.  

Trascorro molto tempo a guardare video di danza su youtube, ricordo ancora quando questa piattaforma fece il suo debutto sul web, e c’erano pochissime cose, mentre oggi davvero si trova tutta la produzione esistente, aggiornata in tempo reale. Trovo ci sia qualcosa di strano, comunque, nel guardare la danza ripresa da una videocamera, è come se mancasse un elemento, e questo non dipende dalla qualità del video, che di certo aiuta, ma dal fatto che il mezzo tecnologico crea una distanza troppo grande da colmare, per una forma espressiva che tradizionalmente prevede uno scambio tra spettatore ed esecutore. Dal vivo. 

L’aumento della danza in televisione, ad esempio, se da un lato può essere visto come una cosa positiva poiché promuove e diffonde l’importanza di questa forma d’arte, dall’altro può creare la falsa percezione che guardare un balletto in televisione sia la stessa cosa che essere in teatro. Lo spettatore che guarda la danza dal monitor del computer, o dallo schermo televisivo, non ha la stessa presenza e responsabilità di chi è seduto in platea. Quando guardo un video posso alzarmi, stoppare, non guardarlo fino in fondo o farlo distrattamente. Essere al cospetto di un palcoscenico obbliga lo spettatore a focalizzare la propria attenzione su ciò che viene raccontato, l’energia e la vibrazione che arriva dalla scena instaura immediatamente una reazione nel campo emotivo di chi assiste.  

L’aumento della fruizione della danza in video potrebbe anche essere una delle motivazioni che stanno spingendo la danza verso il mero esercizio tecnico, puntando sulla spettacolarizzazione del virtuosismo piuttosto che sullo scambio energetico ed emotivo con l’interprete. Il video ormai è uno degli strumenti di diffusione della danza più utilizzati, complice anche l’alto costo dei biglietti nei teatri, addirittura alcune opere vengono pensate proprio per il video, una cosa che prima era esclusiva della danza di ricerca, con esperimenti magistralmente riusciti, come ad esempio il lavoro dei DV8 o di Ultima Vez, ma che oggi vede protagonista anche il balletto classico. Pensiamo ad esempio al video, diventato virale, con Sergei Polunin diretto, nientemeno, che da David LaChapelle. Un’opera che personalmente trovo pressoché inutile e autoreferenziale, senza spessore, ma il successo che ha raccolto indica in modo abbastanza chiaro il gusto collettivo del pubblico, che vuole vedere salti, giri, acrobazie di ogni tipo, ed una danza con un piglio arrogante e sfacciato. La danza di oggi è evidentemente maschio, giovane e atleta. 

Quando si guarda la danza principalmente attraverso il video, bisogna essere consapevoli che ciò che si sta guardando è solo un carapace, come quello che lasciano gli insetti quando cambiano corazza: un contenitore vuoto, che non ha in sé la parte più importante, ossia il ‘corpo energetico’ della danza, la sua anima, che può essere percepita e vista solo dal vivo. Ci sono delle cose che difficilmente si adattano al progresso tecnologico, il teatro è una di queste, poiché storicamente nasce come aggregazione sociale attorno ad un evento sciamanico e quindi non si può prescindere dalla presenza simultanea in un solo luogo di spettatori e interpreti, senza snaturarne profondamente l’essenza. L’esperienza di assistere ad uno spettacolo dal vivo non può essere sostituita in alcun modo, e spero vivamente non possa mai accadere in futuro, poiché se esiste un’immagine che mi mette una gran tristezza è proprio quella di un danzatore davanti ad una platea vuota. Una cosa che purtroppo è successa per talmente tanti anni che la programmazione nei teatri ha progressivamente eliminato la danza dai propri cartelloni. 

Se amate la danza, quindi, cercate di andare a vederla nel suo habitat naturale. 

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