Chi era Arthur Mitchell, il ballerino che ha iniziato la rivoluzione

di Fabiola Di Blasi
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“Anyone living without the arts in their lives is living in a desert.” A.M.

Il 19 settembre 2018 se n’è andato, all’età di 84 anni, Arthur Mitchell, primo ballerino del New York City Ballet negli anni ’50 e ’60, coreografo, insegnante, fondatore e direttore del rivoluzionario Dance Theatre of Harlem.

Mr Mitchell era nato nel 1934 a New York, in una famiglia di umili condizioni che viveva nel quartiere afroamericano di Harlem. Sin da bambino conobbe la fatica del lavoro perché, avendo quattro fratelli, dopo l’incarcerazione del padre ebbe il dovere di aiutare nella gestione economica della casa. Visto l’interesse per il teatro e il ballo, frequentò la High School for the Performing Arts di New York, la scuola pubblica resa poi famosa dalla serie tv “Fame” e, dopo il diploma, iniziò a esibirsi nei musical di Broadway. Danzò con artisti del calibro di Louis Johnson, Donald McKayle, Alvin Ailey, Pearl Bailey. Nonostante fosse molto bravo nel jazz, era determinato ad affermarsi nel mondo del balletto classico, tanto che riuscì a vincere una borsa di studio per la scuola dell’American Ballet. Fu il momento in cui decise di fare nell’ambito della danza quello che Jackie Robinson fece nel baseball.

Nel 1955 divenne l’unico ballerino nero del New York City Ballet e nel 1962 fu promosso Principal dancer nella stessa compagnia di cui fece parte fino al 1968. Fu anche il primo a ballare in coppia con una danzatrice bianca suscitando le reazioni razziste e ostili del pubblico degli anni ’50. In qualità di primo ballerino, Arthur Mitchell girò il mondo con la Compagnia lasciando il segno ovunque e suscitando l’indignazione generale soprattutto nell’allora Unione Sovietica dove il balletto era di grande importanza.
George Balanchine creò diversi ruoli per lui, in particolare quelli in A Midsummer Night’s Dream (1962) e Agon (1967); consapevole di ciò che stava sfidando, durante le prove non dimenticò di ricordare a Mitchell “Sai che questo dovrà essere perfetto”.

A conferma del clima di razzismo diffuso all’epoca, quando i programmi televisivi invitavano il New York City Ballet a esibirsi, la produzione richiedeva espressamente che il signor Mitchell si sedesse e che non venisse ripreso. Balanchine si mostrò irremovibile su questo punto: la compagnia avrebbe ballato con il signor Mitchell o per niente.
Nel 1966 Mr Mitchell organizzò l’American Negro Dance Company, con cui rappresentò gli Stati Uniti al primo “World Festival of Negro Arts” a Dakar nel Senegal. Due anni dopo, a Rio de Janeiro, fondò la compagnia del National Ballet del Brasile. Lavorò anche in Italia, a Spoleto dove andò in scena negli anni ’60 al Festival dei Due Mondi ma il punto di svolta della sua carriera è legato al’uccisione di Martin Luther King (1968) che lo segnò profondamente. Da quel momento, si fece forte in lui l’esigenza di dare forma concreta alla sua lotta per i diritti degli afroamericani. Cominciò con l’aprire, insieme al maestro e amico Karel Shook, uno dei pochi bianchi a sostenere l’ingresso della comunità nera nel balletto, una scuola di danza in un garage nel quartiere in cui era nato. Partì con 30 iscritti che presto diventarono 400. Nacque così e con l’aiuto finanziario di Mrs. Alva B. Gimbel e della Fondazione Ford, il Dance Theatre of Harlem a cui oggi è connessa una prestigiosa compagnia che debuttò al Guggenheim Museum nel 1971: la prima grande compagnia nera degli USA! Il debutto europeo avvenne al Festival di Spoleto nel 1971.

Durante la sua carriera, Arthur Mitchell ottenne numerosi premi e riconoscimenti tra cui la National Medal of Arts consegnata nel 1995 dal Presidente Bill Clinton. Quando, in una recente intervista, il New York Times chiese a Mr Mitchell quale fosse stato il suo più grande successo, lui disse: “That I actually bucked society, and an art form that was three, four hundred years old, and brought black people into it.” (Che ho davvero contraddetto la società, ed ho coinvolto in una forma d’arte che aveva tre-quattrocento anni, i neri).

Al Philadelphia Inquirer, Mitchell disse che il suo obbiettivo era quello di usare la danza come mezzo per migliorare gli esseri umani. Aveva altresì espresso la sua preoccupazione per l’epoca che stiamo vivendo e che ci fa crescere nell’illusione di poter raggiungere la felicità tramite qualcosa di tangibile, di tecnologico, di chimico. Qualcosa che non dura. L’assenza di arte nelle vite di moltissime persone non è salutare, soprattutto per i giovani che perdono via via la speranza. Confidò al Boston Globe il timore che un giorno la gente si svegliasse e si rendesse conto di non avere arte nelle proprie vite, magari troppo tardi.

Dopo aver fermato l’attività nel 2004 per problemi finanziari ed essersi ricostituita nel 2012, la Dance Theatre of Harlem è oggi un’istituzione.

Quello che Athur Mitchell ha fatto per il mondo e per la danza è qualcosa di eccezionale ma lui stesso ha fatto più volte capire di essere solo il pioniere di una rivoluzione ancora in corso. Prima di morire, Mitchell ha sottolineato che c’è ancora molto lavoro da fare per portare sulla scena i ballerini afroamericani, sempre in minoranza. E se questo è vero ancora oggi nel suo Paese, l’America, che dire di noi…

Nel corso degli anni, l’esempio di Arthur Mitchell è stato colto da molti altri ballerini e artisti in tutto il mondo. Dopo la sua morte, Misty Copeland la prima afroamericana a diventare Principal dancer dell’American Ballet Theatre, gli ha dedicato queste parole su Instagram “You gave me so much, through our conversations, your dancing and by simply existing as a brown body in ballet. But you were so much more than a brown body. You’re an icon and hero.

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