Ballerine in rivolta: gli uomini vanno in pensione più tardi

di Fabiola Di Blasi
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Il mondo della danza italiana è sempre più ribelle e (giustamente) intenzionato a farsi sentire! Il caso stavolta riguarda le pensioni. Alcune ballerine si sono ritenute discriminate da una normativa pensionistica che prevede cinque anni di attività in più per gli uomini e si sono rivolte al Tribunale di Roma affermando di aver lavorato alle dipendenze della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, in qualità di ballerine, sino al 31/3/2014, data in cui la Fondazione ha intimato loro il licenziamento per raggiunti limiti di età. Questo nonostante avessero esercitato ed annualmente rinnovato, secondo le prescrizioni di legge, almeno tre mesi prima del compimento dell’età, il diritto di opzione previsto dall’art. 3 comma 7 del decreto legge n. 64/2010, convertito poi in legge n. 100/2010. Le ballerine hanno chiesto al Tribunale la reintegrazione nel loro posto di lavoro, oltre al risarcimento dei danni. I ricorsi in primo grado sono stati accolti e parzialmente riformati nel successivo grado di giudizio. Infine, il contenzioso è approdato alla Sezione lavoro della Corte di Cassazione. La Suprema Corte, vista la rilevanza dell’argomento sottoposto al suo vaglio ha deciso di chiedere, in via pregiudiziale, alla Corte dell’Unione Europea di Lussemburgo di pronunciarsi in merito. Quest’ultima, tra l’altro, il 13 novembre 2008, aveva emesso una sentenza con la quale aveva “bocciato” i requisiti differenziati donna/uomo (rispettivamente 60 e 65 anni) allora previsti per il pensionamento dei dipendenti pubblici. Questa decisione dei Giudici europei aveva poi spinto il Governo italiano a parificare i requisiti minimi in tema di pensioni. La Corte di Cassazione chiede, in sostanza, se la normativa nazionale (di cui al Decreto Legge n. 64 del 30 aprile 2010, art. 3 comma 7, convertito in legge n. 100 del 29 giugno 2010) sia contraria o meno al principio comunitario di “non discriminazione in base al sesso”, secondo quanto previsto dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché dalla Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per “assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego”. I supremi Giudici ritengono che la nuova normativa abbia determinato delle discriminazioni di genere ai danni delle ballerine, in contrasto con le direttive europee in tema di pari opportunità di impiego e retribuzione. La nuova normativa ha consentito a chi aveva raggiunto l’età di 45 anni, di continuare a rimanere in servizio, in particolare alle donne fino a 47 anni, agli uomini fino a 52. La legge citata, infatti, per agevolare gli artisti che già avevano raggiunto o superato la nuova soglia di pensionamento (45), ha introdotto un periodo transitorio di due anni in cui, a fronte di esplicita richiesta, avrebbero potuto prolungare l’attività lavorativa, pur senza superare i limiti precedenti, (cioè 47 per le donne e 52 anni per gli uomini).
Secondo i giudici la discriminazione non riguarderebbe solo le danzatrici ma anche le coriste. Sarà comunque l’Europa a decidere chi ha ragione.

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